Articoli - Il mio punto di vista 2022
A distanza di quasi due anni, riporto di seguito i miei articoli/punti di vista del 2020 e, in calce, l'aggiornamento alla data odierna, il mio personale Upgrade.
Va tutto bene?
Buona lettura e buone rimembranze!
Pavia, 3 febbraio 2022
Le anatre non lo sanno
Le anatre che solcano la Vernavolina che vedo dal mio balcone non sanno niente di quello che va accadendo e continuano a solcare l’acqua pacifiche.
Non sanno che chi prima era indicato come untore (leggi, “i Cinesi”) ora incoraggia i detrattori (leggi, “gli Italiani”) e non sanno che chi irrideva il nostro Paese (leggi, taluni Francesi) ora è a sua volta preda di ciò che aveva causato il loro scherno.
Non sanno niente di Paziente Uno e non sanno niente di Paziente Zero. Non sanno niente di Zone Rosse e non sanno niente di Zone Gialle. Non sanno niente di amuchina e non sanno niente di alcool, niente di mascherine e niente di abbracci proibiti. Non sanno niente di distanze di sicurezza e niente di droplet. Non sanno niente di bollettini quotidiani e niente di video messaggi su Facebook. Non sanno niente di turni di lavoro e niente di lavoro a distanza. Non sanno niente di scuole chiuse e niente di cerimonie di laurea per telefono. Non sanno niente di lezioni virtuali e compiti di religione a casa: “Pregate! Pregate! Pregate!”. Non sanno niente di Messe senza segno della pace e niente di Messe senza fedeli del tutto.
Non sanno niente di partenze inizialmente rimandate e poi annullate. Non sanno niente della paura di contagiare soggetti indeboliti, come un padre malato, e non sanno niente del menefreghismo e dell’incoscienza di chi non ha saputo rinunciare a un viaggio infettando una sorella e portando il male oltre il mare, in un piccolo paese di un’isola di solito apprezzata solo d’estate e poi diventata meta ambita di chi voleva lasciare le zone del contagio.
Non sanno niente di misure appropriate e misure più o meno approssimative. Non sanno niente di supermercati presi d’assalto manco si fosse in guerra e non sanno niente di mezzi di trasporto pubblici inizialmente strapieni dove era impossibile osservare la distanza di sicurezza e ora desolatamente vuoti da far paura. Non sanno niente di voli soppressi, nazionali e internazionali, e non sanno niente di collegamenti interrotti. Non sanno niente di martellamenti in TV e via internet. Non sanno niente di fake news e niente di panico indotto. Non sanno niente di ospedali in crisi e non sanno niente di personale medico e paramedico stremato. Non sanno niente di “Milano-non-si-ferma” e non sanno niente di “Se ti vuoi bene, resta a casa”. Non sanno niente di chi si preoccupa della salute propria e degli altri e non sanno niente di chi si preoccupa solo dei danni economici. Non sanno niente delle lacrime che ti vengono agli occhi vedendo un uomo di Chiesa, che prega, solo, in cima al Duomo e del sorriso che ti sale inevitabilmente alle labbra nel vedere l’immagine di un prete di paese che gira in camioncino col megafono e la statua della Madonna e, fermato dalle autorità, si giustifica con un serafico “Esigenze lavorative!”.
Loro non sanno niente di tutto questo. Come non lo sanno gli alberi che pure sono in fiore anche a Milano. Come non lo sanno le nuvole, gli uccelli, il sole, l’aria. Certo no, loro non lo sanno…
Ma noi sì! Noi lo sappiamo! Noi sappiamo tutto questo, inizialmente quasi menefreghisti per il morbo lontano, poi vagamente perplessi magari in un treno strapieno della metro a Milano, quindi improvvisamente impauriti dopo un fine settimana in cui tutto è cambiato, poi quasi baldanzosi forse per darci coraggio, poi preda del panico e dell’angoscia e ora accomunati tutti in Italia, e non solo in Italia, dal timore e, allo stesso tempo, dalla speranza di uscirne presto!
Mi arrivano i messaggi preoccupati della mia cara amica Chieko in Giappone e la foto di un disegno che le mie nipotine hanno appeso ai cancelli di casa nel mio paese in Sardegna, “Andrà tutto bene”.
Sento le mie sorelle in Spagna e in Portogallo, dove ora si prendono misure contro il propagarsi del morbo.
Certo tutti ci auguriamo di uscirne indenni e che il virus passi lontano da noi e dai nostri cari.
Ma c’è chi non riesce a non pensare ai vantaggi che può trarre in una situazione di crisi. C’è chi non pensa se non alle perdite economiche, come se non fosse già ampiamente provato che “se manca la salute, manca tutto” e che, se i soldi servono a darci un’esistenza dignitosa, certo “non danno la felicità”; magari danno la possibilità di essere curati meglio… quando le cure ci sono. Ora una cura non c’è, non c’è per nessuno, e il morbo non fa distinzione tra chi ha soldi e chi non ha soldi.
I nostri governanti o i nostri datori di lavoro, loro sì, portano a fare distinzioni tra chi è più a rischio di contagio e chi meno, tra chi può stare a casa – perché deve – e chi non può – perché deve -.
Tutti dobbiamo stare a casa ma c’è chi deve andare a lavorare perché il Paese non si può fermare, quindi è un dovere stare a casa ed è un dovere andare a lavorare per chi non viene espressamente esonerato e giustificato dalle norme dello Stato. E allora, forse non ha tutti i torti chi parla di misure approssimate e di cittadini di serie A e cittadini di serie B… A questo, si può ancora rimediare. Perché (e lo dico non sapendo niente di conti dello Stato e borse in calo, di deficit e spread), alla fine ciò che conta è assicurare a tutti il bene della Vita e della Salute in primo luogo e poi, certo, anche quanto economicamente necessario per vivere dignitosamente, come assicura la nostra Costituzione, ma non certo il profitto e i guadagni esorbitanti di chi tanto ha e tanto continua ad avere.
E allora? Allora fermiamoci a pensare… Non sarà una “punizione divina” però certamente sembra che la Natura si sia rivoltata contro l’Uomo e contro i suoi errori nello stile di vita e nelle sue abitudini più o meno radicate.
Cerchiamo di farci coraggio ma anche di imparare.
Scrivevo, quasi vent’anni fa, da poco tempo a Milano:
A CHE PRO?
Prodotto deterministico
dell’incontro
niente affatto casuale
di particelle subatomiche
o
frutto di scelte libere
nel mondo
dell’imprevedibile
continuiamo
- siamo quello che siamo -
a barcamenarci
nella nostra quotidianità
senza fermarci
a riflettere
su quello che siamo
che potremmo
o
non potremmo
essere
A che pro
del resto
se quello
che ci si aspetta
da noi
è
che continuiamo
a barcamenarci
nella nostra
quotidianità?
Ecco, ora quello che ci si aspetta da noi, non è più “che continuiamo a barcamenarci nella nostra quotidianità”. Ora la nostra quotidianità, per molti o per pochi, è cambiata, ci sono nuove regole di vita e, non è esagerato dirlo, in certi casi, nuove regole di sopravvivenza.
Cerchiamo quindi di seguirle fiduciosi e di cogliere l’occasione per ripensare al prima, al passato, e per pensare al dopo, al futuro.
Concludo con la citazione che Ernest Hemingway scelse come premessa per il suo celeberrimo “Per chi suona la campana”, nella versione che io avevo letto nel lontano ottobre del 1989:
“Nessun uomo è un'Isola, intero in se stesso.
Ogni uomo è un pezzo del continente, una parte della Terra. Se una sola Zolla viene portata via
dall'onda del Mare, l'Europa ne è diminuita, come se un Promontorio fosse stato al suo posto,
o una Magione amica o la tua stessa Casa.
Ogni morte d’uomo mi diminuisce perché io partecipo dell’umanità.
E così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: Essa suona per te.”
John Donne
1573-1651.
Pavia, 13 marzo 2020
P.S.: Ora vedo dal balcone un padre che gioca a nascondino e a “Un, due, tre, stella” con le sue bambine. È un’immagine di gioia e speranza!
Ducks do not know
Ducks, those that plough the little river called “Vernavolina” and that I can see from my balcony, do not know about what is going on and keep on ploughing the water peacefully.
They do not know that those who first were called infectors (that is, “Chinese people”) now encourage the detractors (that is “Italian people”) and they do not know that those who mocked our Country (tha is, some French people) now have fallen prey of what caused their derision.
They know nothing about “Patient One” and nothing about “Patient Zero”. They know nothing about “Red Zones” and nothing about “Yellow Zones”. Nothing about unobtainable disinfectants and medical musks and nothing about forbidden hugs. They know nothing about safety distances and nothing about “droplet”. Nothing about daily reports and nothing about Facebook video messages. Nothing about working in shifts and nothing about smart working. Nothing about closed schools and nothing about graduation ceremonies by phone. They know nothing about virtual lessons and religion homework: “Pray! Pray! Pray!”. They know nothing about Masses without the peace sign and nothing about Masses without congregation at all.
They know nothing about depatures firstly delayed and then cancelled. They know nothing about the fear to infect weakened people, like your sick father, and know nothing about couldn’t-care-less attitude and irresponsibility of people who did not renounce a trip home infecting a sister and bringing the disease over the sea, in a small town of an island usually appreciated only during the summer and then wanted destination by those who wished to leave contagion areas.
They know nothing about proper measures or more or less approximate measures. Nothing about besieged supermarkets as if we were in war time and nothing about public transport first overcrowded, where it was impossibile to keep safety distances, and now desolately empty.
They know nothing about cancelled, national and international, flights and nothing about interrupted connections. They know nothing about TV and internet bombardment. Nothing about fake news and consequent panic. Nohing about hospitals going through a terrible crisis and exausted medical and paramedical staff.
They know nothing about “Milan does not stop” and nothing about “If you care about yourself, stay at home”. They know nothing about people who care about their own and other people health and nothing about people who care only about economical damages.
They know nothing about been touched seeing a priest who, alone, prays on the top of the “Duomo” and the smile caused by the image of a little town priest that, in a van, with a megaphone and Our Lady statue, goes trough the roads and, stopped by the authorities, justify himself with a simple “Work reasons!”.
They know nothing about all this. So the blooming trees in Milan do not know. So the clouds, the birds, the sun, the air do not know. Certainly not…
But we do! We do know! We know all about this, firstly almost careless about the far away disease, then more or less puzzled in a metro overcrowded in Milan, then suddenly frightened after a week-end when everything changed, then almost bold maybe to encourage each other, then fallen prey of panic and anxiety, and now all united, in Italy and not only in Italy, by fear and, at the same time, by hope to get soon over all this!
I receive worried messages by my dear friend Chieko in Japan and photos of my nieces’s and my nephew’s drowings hung outside home in my town in Sardinia: “Everything will be okay!”.
I am in touch with my sisters in Spain and Portugal, where now are settled safety measures against the disease spread.
Surely everybody hopes to keep safe and that the virus passes far away from us and our family.
But there is people who cannot avoid thinking about what can be gained in a situation of crisis. There is people who think only about economic damages, as if it were not true that when health is lost everything is lost and that money can give us a “decent” life but does not give happyness; maybe money can give more opportunities to be better cured … when there is a cure. Now there is no cure, for anybody, and the desease does not distinguishes reach people and poor people.
Instead, our rulers and our employers can surely distinguish people who can stay safely at home (so says the rule) and who cannot (so says the rule). All of us have to stay at home but there is who have to go to work because the Country cannot stop. So it is a duty to stay at home and it is a duty to go to work for those who are not exonerated and justified by the State. So, are there second –rate citizens?! It is still possible to improve the settled rules.
Because (and I speak ignoring everything about financial affairs), at the end of the day, what it matters is to ensure first Life and Health to everybody and then, surely, economic security to live with dignity, as our Constituion says, but not exorbitant profit and gain for those who have so much and so much keep on having.
So? So, let’s stop and think… Maybe it is not a “divine punishment” but it seems that the Nature revolted against Humankind and his mistakes in his lifestyle and customs.
Cheer up but think too!
Almost twenty years ago, after some months in Milan, I wrote
What for?
Deterministic product
Of the meeting
Not random at all
Of subatomic particles
or
free choices fruit
in the world
of Impredictable
we keep
- being whatever we are -
on managing
Our dayly life
Without stopping
To think about
What we are
we could
Or
We could not
be
What for,
After all
If what
We are expected
is
that we keep on
managing our dayly life?
Now, what we are expected is not anymore that “we keep on managing our dayly life”. Now our dayly life is changed, there are new rules of life and, in some cases, new rules of survival.
Let’s abide by them trustfully and do not forget to think about before, the past, and about after, the future.
I finish with the quote that Ernest Hemingway chose per his literary masterpiece “For Whom the Bell Tolls”, that I read ages ago, in October 1989:
“No man is an island entire of itself; every man
is a piece of the continent, a part of the main;
if a clod be washed away by the sea, Europe
is the less, as well as if a promontory were, as
well as any manner of thy friends or of thine
own were; any man's death diminishes me,
because I am involved in mankind.
And therefore never send to know for whom
the bell tolls; it tolls for thee”
John Donne
1573-1651.
Pavia, 13 March 2020
P.S.: Now I can see from the balcony a father who plays with his little doughters. It is an image of joy and hope!
Sono nati gli anatroccoli!
Non si distinguono bene nella foto ma ci sono! Sono arrivati anche gli anatroccoli!
La Vita segue il suo corso, la Vita…
Ebbene è giunta la Pasqua del 2020: la ricorderemo soprattutto perché, mentre negli anni passati, di solito, a Pasqua e Pasquetta pioveva e c’era maltempo, quest’anno no! Ci sarà un sole splendido in tutto il Paese!
La Natura scherza e ride degli affanni degli uomini.
Ci sono tanti che non hanno di certo voglia di scherzare e non ridono affatto, lo sappiamo.
Ma per un momento pensiamo alla Vita e auguriamoci che per tutti, presto o tardi, sia una Buona Rinascita!
Come è il titolo di questa pagina, invito all’ascolto di due inni cristiani in lingua inglese, due “canzoni di chiesa” diremmo. Sono inni celeberrimi che sono stati interpretati da tanti artisti. Il primo è “Amazing Grace” nell’interpretazione di LeAnn Rimes e il secondo “How Great Thou Art” (che avevo sentito per la prima volta in una chiesa a Edimburgo un secolo fa) nell’intepretazione di Carrie Underwood e degli Home Free, gruppo vocale che seguo da qualche anno.
Buon ascolto a chi vorrà seguire i link con i migliori auguri!
Pavia, 11 aprile 2020
www.youtube.com/watch?v=8dmMm6upB5c&list=RD8dmMm6upB5c&index=1
www.youtube.com/watch?v=MHusNDxUHNA
www.youtube.com/watch?v=tXQpDDcrN-w&list=RD8dmMm6upB5c&index=4
Dove eravamo rimasti?!
Si è verificato l’Impensabile, l’Inimmaginabile.
È stato ed è overwhelming, qualcosa di travolgente, schiacciante, un peso che “sopraffà” appunto.
Abbiamo visto il morbo, il dolore, la paura diffondersi nel nostro Paese e nei Paesi di tutto il Mondo. In modi diversi e con diversi approcci da parte dei governanti per contrastarne la diffusione.
Abbiamo visto scene che non avremmo mai nemmeno immaginato di poter vedere nel nostro paese evoluto: carri militari per trasportare bare, tante bare, bare che contenevano corpi di persone vinte, in una città, in un ospedale travolto, in cui è stato applicato il c.d. “triage estremo”, corpi di persone a cui non solo è stata negata ogni possibilità di cura e di salvezza ma anche il minimo contatto coi propri cari e il sollievo dell’estremo saluto. Corpi di persone, tante persone, destinati alla cremazione. Abbiamo visto queste immagini provenienti da Bergamo ma poi le abbiamo viste, simili e terrificanti, dalla Spagna, Paese vicino, Paese fratello, e li abbiamo viste dopo e le vediamo ancora provenire da altri Paesi del Mondo, Paesi più lontani, più poveri, in cui il dramma della malattia e della morte è pressoché endemico ma non per questo meno toccante.
Sono immagini che dovremmo ora avere davanti, che non dovremmo scordare e, invece…, invece per molti sembrano già essere state archiviate, riposte subito nel dimenticatoio.
Qui in Italia, grazie al Cielo e toccando ferro, il male non si è diffuso al Sud come al Nord. E così in tutto il Mondo la diffusione non è stata omogenea senza peraltro potersi considerare conclusa. Non siamo fuori pericolo, così ci viene detto.
Eppure, si sa, dobbiamo andare avanti e ora l’attenzione è tutta concentrata non più sulla Vita e la Salute messe a rischio ma sulle conseguenze economiche e finanziarie della pandemia.
Molte persone hanno vissuto e vivono più la paura della perdita di denaro, per fronteggiare l’esistenza o meno, che la paura della perdita della Vita e della Salute.
Sembra essere proprio così!
Siamo considerati un popolo di risparmiatori ma evidentemente molti non lo erano e non lo sono: sono bastati due mesi per mettere in ginocchio l’economia di tante famiglie che, a quanto pare, si sono trovate nella impossibilità di fronteggiare la crisi. E così molte aziende piccole e grandi.
Ma allora, allora, forse, forse vivevamo sull’orlo di un precipizio, da cicale felici di cantare dai balconi…
Abbiamo vissuto la quarantena, abbiamo vissuto l’isolamento, viviamo ancora nella impossibilità di superare i confini non solo fra Stati ma anche fra regioni, viviamo nell’incertezza di poter ristabilire i contatti coi familiari lontani, divisi e per questo impotenti, ancora fragili.
Eppure c’è chi ha a cuore solo il proprio tornaconto.
In molti, come la sottoscritta, vivono in cassa integrazione, e lavorano a distanza, una delle poche conquiste positive di questa esperienza, ma c’è chi vorrebbe la botte piena e la moglie ubriaca: non pagare gli stipendi e allo stesso tempo avere lavoratori pienamente disponibili magari nuovamente in sede, anche se questo significa dover prendere bus, treno e metropolitana…
Ma tant’è, quando ci sono di mezzo i soldi, ogni buona creanza e ogni buon sentimento vanno in malora, c’è chi perde il lume della ragione e della ragionevolezza.
E infatti assistiamo non solo a confronti e disaccordi che sarebbero naturali in un “normale” contradditorio e in una “normale” dialettica; assistiamo a vere e proprie liti e scontri a livello politico, nello Stato e fra gli Stati, e a livello di realtà quotidiane, a noi più vicine, come in un pollaio in cui manchi il gallo, mi viene da pensare, o come i famosi capponi di Renzo ne “I Promessi Sposi”.
Che siamo fragili, che moriamo soli, l’abbiamo già scordato. Così pare.
E quindi sembra proprio che non abbiamo imparato niente, che tutto tornerà come prima: chi era gretto e meschino resta e resterà gretto e meschino, chi era maleducato resta e resterà maleducato, chi era imbecille resta e resterà imbecille e chi era sensibile resta e resterà sensibile, chi era di cuore gentile resta e resterà di cuore gentile e chi era buono, come l’uomo positivamente buono che era ed è “L’Idiota” di Dostoevskij – che ho avuto modo di leggere in questo periodo di clausura forzata -, chi era buono, dicevo, resta e resterà buono!
Pavia, 14 maggio 2020
Quando lo eravamo senza saperlo…
Due osservazioni e una considerazione personali
Si dice che in Italia ci siano pochi lettori, che si legge poco.
Ebbene, stando alle varie riprese video durante la quarantena e anche ora, in tutte le case a modo sembra doverci essere una libreria. Che si tratti di politici, medici, giornalisti, attori, cantanti e esperti a vario titolo, tutti o quasi si mostrano con una libreria alle spalle. Una libreria più o meno grande, più o meno ricca, ordinata o meno ordinata, sembra essere un must. Tutti colti in Italia!
Mi chiedo se chi mostra di avere tanti libri, poi li apra anche e li legga perfino o se si tratti piuttosto di esibizione di uno status di presunta cultura e di pretesa erudizione.
Io amo leggere eppure, nella mia casa a Pavia, non ho una libreria ma libri stipati nei mobili e sparsi un po’ ovunque dove trovo spazio tranne che in cucina e in bagno (anche se per alcuni è notoriamente luogo di meditazione). Per cui posso affermare che non in tutte le case in cui si legge ci sono librerie coreografiche a prova di video.
E questa è una prima osservazione, una osservazione visiva.
Altra osservazione, una osservazione uditiva.
Non avevo mai sentito così spesso una parola che ora è sulla bocca di tutti, e non solo in Italia.
Siano politici, anche dei piani alti, siano medici, siano giornalisti, siano opinionisti vari ed esperti tuttologi, ebbene tutti hanno scoperto o riscoperto la parola “resilienza”.
Affrontiamo il problema con resilienza, la società è resiliente, tutti e ciascuno di noi deve essere resiliente. Che il tam-tam sia partito da un medico o da uno psicologo, ora si scopre che la qualità chiave, la dote maestra, per affrontare la situazione che abbiamo vissuto e che continuiamo a vivere, è la “resilienza” appunto, la facoltà mentale che consente di affrontare e superare le crisi e le avversità.
Forse si utilizzava anche prima questa parola ma non certo con la vasta eco di questo periodo.
Mi chiedo come facessimo precedentemente ad affrontare e superare crisi e avversità come un lutto, una malattia, un abbandono, un licenziamento, una perdita. Forse affrontavamo tutto con resilienza, eravamo tutti resilienti… senza saperlo.
Un’ultima considerazione personale.
Viviamo un periodo sconnesso, una situazione di incertezza che dovrebbe tenerci tutti uniti per superare il disagio e la negatività.
Ebbene sembra che, a livello nazionale e internazionale, non si possa fare a meno di scannarsi a vicenda.
L’ultima questione che mi tocca personalmente è stata ed è la diatriba tra politici lombardi e politici sardi, nello specifico.
Nello scontro tra la necessità di tutelare la salute e la necessità di tutelare la libertà di movimento dei cittadini, valori entrambi previsti dalla Costituzione, quale bene deve essere considerato prevalente?
Certo i due valori sono entrambi fondamentali e fondanti in una società di tipo liberale come la nostra dovrebbe essere ma, in questo caso, ci si trova nella necessità di contemperare questi diritti e di fare considerazioni di opportunità.
La salute dei cittadini sardi messa come contrappeso alla libertà di movimento dei cittadini lombardi.
Io sono sarda e, da anni, mi trovo in Lombardia per questioni di lavoro, perché nella mia isola, così bella e ora così lontana, non ho trovato, come tanti, una occupazione tempo fa e perché questa occupazione mi è stata offerta dapprima a Milano e poi a Pavia e ora nuovamente a Milano.
Lavoro in Lombardia ma non sono lombarda. Conosco l’attaccamento al lavoro dei lombardi, specie nella città che di quello che è stato definito da alcuni “lavorismo” ha fatto la sua bandiera.
La Sardegna non ha le risorse economiche della Lombardia e il sistema sanitario dell’Isola potrebbe essere messo in scacco come è accaduto nella ricca e fiorente Padania.
I sardi credo non vogliano essere messi alla prova. Molti lombardi hanno le loro seconde case in Sardegna e molti lì si sono rifugiati, lontani dai luoghi di maggior contagio.
Sì, certo è importante salvaguardare da un lato la libertà di movimento e la necessità di riaprire i confini ma non si può tacere della paura di diffusione del male in una terra che, grazie al cielo e toccando ferro (come ho già scritto), è stata finora preservata.
Al momento i medici ci dicono che non è possibile avere un “patentino di immunità”… Può darsi, sarà vero ma non è insensato chiedere di trovare il modo di testare chi viaggia e chi vuole raggiungere la mia terra.
Io non vedo l’ora di poter riabbracciare i miei e tornerò in Sardegna, come ho sempre fatto, non da turista, non da viaggiatrice, non da proprietaria di seconda casa, ma da figlia lontana dai suoi e dalla sua Isola-madre.
Tornerò col timore, non infondato, di poter portare io per prima il male in casa mia.
E la situazione non mi tranquillizza.
Se la regione italiana con più ampia diffusione del virus fosse stata un’altra, magari del Sud, chissà se ci si sarebbe scaldati tanto per tutelare la libertà di movimento dei suoi abitanti…
C’è chi ha affermato che non è opportuno fare una contrapposizione Nord-Sud… ma di certo non sono mancati gli attacchi al Sud anche da parte di profondi giornalisti milanesi.
E soprattutto il tono di vaga, ma non tanto, minaccia del sindaco di Milano che si ricorderà di chi ha osato parlare della necessità di test di sicurezza per chi vuole raggiungere la Sardegna (senza nominarla) suona tanto ma tanto di atteggiamento di superiorità verso una terra di conquista.
Beh, fatto sta che ora pare che tutti dal tre giugno potranno liberamente circolare tra regioni.
In Sardegna si è combattuto tanto per la continuità territoriale e nessuno vuole un’isola “isolata” ma ci sono toni e toni, ci sono modi e modi con cui confrontarsi, e non sono i toni, non sono i modi che vedo in TV.
E per capire se la salute sia più importante della libertà di movimento provate a pensare alla effettiva possibilità di esercitare questo diritto, il diritto di muoversi, per raggiungere un’isola dal continente e quindi dover attraversare il mare in nave o sorvolare i cieli in aereo, da persona più o meno gravemente malata, magari allettata…, provate a pensare che forse forse vorreste essere sani fisicamente e mentalmente prima di tutto…
E magari, invertendo l’ordine dei fattori, se la regione maggiormente colpita fosse la Sardegna si penserebbe poi tanto a limitare la libertà di movimento dei suoi abitanti verso il continente, verso… la Lombardia?!
Intanto, ora lo sappiamo, supereremo anche questo scoglio con la resilienza che ci contraddistingue!
Pavia, 30 maggio 2020
Upgrade 2022
Sono passati quasi quasi due anni da quel tredici marzo del duemilaventi, quando avevo scritto il mio primo articolo di quell’annus horribilis. Sono passati quasi due anni e lo scenario è cambiato non solo in Lombardia, in Sardegna, in Italia ma in tutta Europa e in tutto il Mondo.
Con una sorella che vive in Spagna, una in Portogallo e una carissima amica giapponese, di Osaka, riesco a sentire e apprendere la situazione anche per come viene vissuta in questi Paesi che non sono l’Italia.
Sono passati quasi due anni, due anni difficili, in cui, qui, nel mio Paese, abbiamo assistito, tra l'altro, al colorarsi dello Stivale a giorni alterni e all'adozione di misure restrittive più o meno pesanti, come pure alla diffusione e alla commercializzazione delle mascherine, le chirurgiche a prezzo calmierato e le FFP2, che, all’inizio, qui a Pavia, costavano minimo sette euro l’una. Abbiamo assistito inoltre alla commercializzazione e alla diffusione dei test e dei tamponi per rilevare il virus come pure alla commercializzazione e alla somministrazione dei vaccini, con la naturale preoccupazione di alcuni che, in molti casi, è diventata avversione e rifiuto, in nome di una pretesa libertà personale contro le imposizioni dello Stato.
Ho anche riattivato il mio profilo Facebook che, tre anni fa, avevo sospeso per motivi personali e ho constatato che pure alcuni dei miei contatti (con cui non avevo mantenuto i contatti fuori da Facebook) manifestano e condividono idee e comportamenti no vax in opposizione alle decisioni politiche dello Stato di appartenenza, non solo dell’Italia.
Oltre all’iniziale timore per i vaccini (erano stati “confezionati” dopo essere stati sufficientemente testati? Perché vaccini differenti? Erano sicuri? Se ne conoscevano gli effetti collaterali? Erano in grado di proteggere dal virus? Consentivano effettivamente di evitare i contagi e la diffusione del male? C’erano vaccini, e quindi vaccinati, di serie A e vaccini, e quindi vaccinati, di serie B?) si sono aggiunti poi altri dubbi e incertezze (Perché i vaccini si sono rivelati impotenti di fronte all’avanzare del virus e delle innumerevoli varianti? Perché ci si ammala nonostante la vaccinazione? Perché, a differenza di ogni altro vaccino, si è reso necessario somministrare più di una dose a distanza ravvicinata? Perché alcuni dei vaccini inizialmente somministrati, sono spariti dalla circolazione? Erano forse vaccini “peggiori” di quelli ancora in uso?).
Dubbi e incertezze che non sono stati fugati dai medici e dai ricercatori in nessuna parte del Mondo, nonostante la loro pretesa autorevolezza.
Ci sono Paesi, come il Giappone, dove i timori per la Vita e la Salute sono stati presi a cuore dai politici e dalla popolazione e Paesi, come il nostro, ma non solo, in cui regna sovrano il caos totale.
Ciò che chiedeva tempo fa il governatore della Sardegna, il c.d. “patentino dell’immunità”, è diventato il c.d. “Green Pass”, senza il quale ora, in Italia almeno, per alcuni cittadini (gli over cinquanta) è divenuto impossibile anche recarsi al lavoro e, senza il quale, non è possibile spostarsi tra i Paesi dell’Europa. E poi c’è “Green Pass” e “Green Pass”, abbiamo imparato: non tutti sono “green” e “pass” allo stesso modo e ciò che è valido e necessario all’interno dei singoli Paesi non lo è allo stesso modo a livello di Comunità europea.
E le persone che in Italia e in tutto il mondo avevano accettato generalmente di buon grado le varie quarantene nel duemilaventi, seppur nell’incertezza e nel timore, proprio per l’incertezza e il timore, ma spinti dalla speranza “Andrà tutto bene!”, ora si trovano spiazzate.
Nessuno sembra in grado di fornire rassicurazioni e certezze, non i medici e i ricercatori, non i politici, tanto meno i politici.
Ci siamo affidati alle loro mani, alle mani della scienza e alle mani di chi ci governa, pieni di fiducia e speranza per il futuro. Ma, a distanza di due anni, la fiducia e la speranza sono venuti meno, anche senza arrivare agli eccessi dei no vax e dei complottisti a vario titolo.
Regna il caos, come ho detto sopra: ci siamo vaccinati ma non siamo sicuri di non poter contrarre il virus e trasmetterlo, quindi non siamo sicuri non solo di non poterci ammalare (seppur in forma più lieve, ci viene detto) ma anche di non mettere in pericolo i nostri cari, fragili, benché anch’essi vaccinati. Allora, visto che ci si può ammalare o comunque risultare positivi e fonte di contagio anche dopo la terza dose, a che serve il “Green Pass” di per sé?
Ancora, i nostri governi non garantiscono la possibilità di effettuare i test che siano ufficialmente riconosciuti per accertare la positività al virus e quindi il ricorso ai test fai-da-te e ai test in farmacia spesso si traduce in un inutile dispendio di tempo e denaro. I test nei centri accreditati non vengono garantiti dal sistema sanitario nazionale e i cittadini che, risultando positivi in base a test non riconosciuti “ufficialmente” (come hanno scoperto in un secondo momento a loro spese), si trovano poi nell’impossibilità di ottenere il Green Pass per guarigione da Covid e magari con il dubbio e il timore, fondati e legittimi, sulla opportunità di sottoporsi alla terza dose del vaccino.
Il tutto, senza preoccupazione alcuna per chi si ammala ed è privo di assistenza in casa.
Ma è mai possibile?
Per non parlare del caos che regna nella disciplina e nella normativa relativa a positivi, negativi, vaccinati e non vaccinati, sintomatici e asintomatici, nel mondo della scuola.
Qui in Italia si assiste al proliferare elefantiaco di norme, in modo poco razionale e che non genera di sicuro quella “certezza” dei diritto auspicata già ai tempi dell’Illuminismo.
Lo si vede e lo si sperimenta in tema di green pass, tamponi, quarantene, mascherine, positivi e negativi, sintomatici e asintomatici, ma non solo.
Cito, a titolo di esempio, i vari bonus edilizi nati in questo periodo e conseguenti alla diffusione del virus e alle varie misure per contrastarne gli effetti negativi sul piano economico, in conformità a quello che è stato chiamato "PNRR"(Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) e, a livello di Istituzioni europee, "Recovery and Resilience Plan" con conseguente stanziamento di ingenti somme di denaro. Vivo in un condominio e mi trovo quindi a doverne prendere atto: un susseguirsi di norme e contro-norme, a vario livello e di diversa portata, in cui è difficile districarsi e della cui esistenza molti non sono nemmeno consapevoli, convinti e arciconvinti che “lo Stato dà soldi”!
Ebbene, consideravo e considero quanto accaduto e accade “overwhelming”, lo è, siamo un’umanità ferita, a mio avviso.
E valori fondanti come quelli di “Vita” e “Salute” vengono, di fatto, dimenticati e accantonati, in nome di chissà quale altro valore supremo, che non riesco ad afferrare e comprendere e che non è la pretesa libertà, una libertà suicida, invocata dai no vax.
È Mammona forse?!
Pavia, 3 Febbraio 2022
24 Febbraio 2022
È la mattina del ventiquattro Febbraio duemilaventidue.
In televisione, gli annunci sull’invasione dell’Ucraina da parte della Russia per volere di Putin.
L’Ucraina, per cui noi comuni mortali non ci eravamo angosciati per niente, fino a quella mattina, diventa presente nei nostri pensieri. Siamo un piccolo mondo.
Volutamente ho utilizzato il termine “invasione”, volutamente ho scritto “per volere di Putin”.
“Russia” e “Putin” erano nomi familiari per tutti noi comuni mortali. Ricordo i militari e i medici russi inviati qui in Italia per supporto e aiuto durante i primi mesi del diffondersi del Covid 19.
“Ucraina” invece era nome lontano. Poco o niente sapevamo (e sappiamo) di questa Terra, della sua storia, della sua cultura, della sua lingua e dei suoi abitanti. E ben pochi sicuramente avevano sentito parlare del suo Presidente, Volodymyr Oleksandrovyč Zelens'kyj.
Qualcosa si era cominciato a sentire in TV ma non prestavamo granché attenzione. Avevamo visto il Presidente Macron seduto a un tavolo enorme con Putin, un tavolo che era divenuto oggetto di fugaci battute da parte di Luciana Littizzetto e poco più.
Avevo letto e condiviso un post su Facebook di un certo signor Michele Lebotti, come ho poi scoperto in un secondo momento, essendo stato postato da un mio contatto senza indicarne la fonte (come sovente accade) e inducendo a crederlo farina del suo sacco. Il post si intitola “La crisi in Ucraina spiegata in due (beh, non proprio due) parole” e l’avevo preso come testimonianza di una esperienza individuale, come espressione di un punto di vista personale utile però a “farsi un’idea” di quello che andava accadendo.
Nella notte tra il ventitre e il ventiquattro, mentre traducevo una mia recensione di qualche anno fa, riscoprivo i versi di Bertolt Brecht trovandoli quanto mai attuali.
Davvero viviamo tempi bui, chi più chi meno, avevo pensato.
E poi, la mattina del ventiquattro Febbraio…
Da un giorno all’altro, le preoccupazioni per il virus e annessi e connessi, hanno lasciato il posto allo sgomento e allo smarrimento e alla rabbia e alla paura e ai battibecchi e alla corsa all’audience e allo scoop, per la possibilità di un conflitto che dall’Ucraina si temeva e si teme possa estendersi anche ad altri Paesi europei, e non solo: la Terza Guerra Mondiale.
Io, e immagino non solo io, cominciavo a intravedere la luce in fondo al tunnel della pandemia e iniziavo a pensare alla possibilità di organizzare un bel viaggio, lo desideravo da tanto tempo davvero, un bel viaggio magari per andare a trovare la mia cara amica lontana Chieko.
In molti cominciavamo ad immaginare l’estate senza restrizioni di sorta.
Siamo, pensavo, una umanità ferita, dopo due anni di pressione fisica e psicologica dovuti alla pandemia e a tutto ciò che ha portato con sé, non ultimo un sovradosaggio di informazioni e contro-informazioni, un bombardamento di parole, messaggi, di esperti a vario titolo, giorno dopo giorno, senza tregua. Un peso notevole per le nostre menti.
E dal ventiquattro Febbraio, si assiste nuovamente a un sovradosaggio di informazioni e contro-informazioni, un bombardamento di parole, messaggi, di esperti a vario titolo, giorno dopo giorno, senza tregua, aventi ad oggetto ciò che accade in Ucraina, la guerra.
Un mesetto fa, mi avevano colpito le parole del Papa, intervistato da Fazio. Aveva dichiarato che la sua prima preoccupazione era la guerra. Ero rimasta un po’ perplessa perché ai telegiornali la notizia principale continuava ad essere la pandemia e non “la guerra”.
E la mattina del ventiquattro del mese scorso, la ferale notizia in televisione.
Un senso di sconcerto, di preoccupazione, di smarrimento.
Nessuno si aspettava quanto accaduto, nessuno si aspettava “la guerra”.
Mi sono ricordata dei resoconti sulle guerre “recenti”, da parte di Oriana Fallaci, nei suoi libri “Niente e così sia”, “Un uomo”, “Inshallah”.
Mi sono ricordata di una lezione in tema di pacifismo da parte del Prof. Giuliano Pontara, a Cagliari.
Mi sono ricordata di Ghandi. Mi sono ricordata di Ungaretti e di Mario Rigoni Stern.
Mi sono ricordata di uno spettacolo amatoriale a Pavia dove gli anziani avevano dato voce ai loro ricordi di guerra e ho rammentato i racconti dei miei nonni e del mio unico bisnonno che ho conosciuto, nonno Santino.
E mi sono ricordata di George Orwell e “La fattoria degli animali” e la sua tormentata pubblicazione.
Ognuno avrà attinto al suo vissuto, alle sua esperienze, alle sue letture per cercare di dare un senso a ciò che accadeva o forse solo per capacitarsi in qualche modo.
Non tutti. C’è stato chi è andato a festeggiare un compleanno facendo baldoria in un locale di grido, con trenini e tovaglioli svolazzanti e hip hip hurrà…, senza alcuna vergogna, senza alcun pudore, senza alcuna decenza e senza alcun rispetto per il comune sentire.
Tant’è, costoro avranno dato un senso a ciò che accadeva attingendo al loro vissuto, alle loro esperienze, alle loro letture… che per altri sarebbero risultate quantomeno imbarazzanti, ma non per loro stessi, evidentemente.
E mentre c’è stato chi ha rievocato l’assassinio a Mosca della coraggiosa giornalista russa Anna Politkovskaja, il sette ottobre duemilasei e le sue parole su Putin e il suo governo, la TV trasmetteva immagini e suoni terribili, come il suono delle sirene per lanciare l’allarme per i bombardamenti aerei e invitare la popolazione a nascondersi nei rifugi, nelle cantine, nelle stazioni della metro.
E abbiamo avuto modo di conoscere la grande tempra e il grande coraggio del Presidente dell’Ucraina, Zelens'kyj, che avrebbe potuto lasciare il suo Paese in balia degli invasori e invece ha scelto di restare per difendere la sua Patria e infondere coraggio ai suoi connazionali, come tanti capi (monarchi o “laici”) non hanno fatto in passato o non farebbero al giorno d’oggi.
Zelens'kyj si è sentito solo e abbandonato. Nessun altro Paese si è precipitato in immediate operazioni belliche contro la Russia e Putin, temendo conseguenze peggiori e incontrollabili.
È stato sostenuto che la grande attenzione per la guerra in Ucraina, a differenza di altre guerre nel Mondo, sarebbe motivata dalla ricchezza di risorse di questa Terra… Ebbene, mi sono chiesta, se l’Ucraina ha così tante ricchezze naturali, perché il suo popolo è così povero, perché tante donne ucraine sono emigrate? Una di queste donne, che vive a Cagliari, ha riferito che loro sono sempre stati in guerra e che, a scuola, viene insegnato l’uso delle armi…
Da quel ventiquattro Febbraio, comunque, si susseguono le informazioni e contro-informazioni su ogni aspetto del conflitto, geo-politico, economico, umanitario.
Vengono trasmesse immagini di distruzione, desolazione, violenza.
I comuni mortali si sentono impotenti; molti, anche in Russia, sfidando la polizia dello Stato, manifestano contro le azioni di Putin.
Ma è con le marce della pace che si commuovono i potenti? Con i proclami delle miss per “la pace nel mondo”?
La reazione dell’Europa e non solo è stata quella delle sanzioni economiche e, in un secondo tempo, quella di sostegno militare con l’invio di armi.
Si è poi arrivati alla guerra in rete, oltre che coi media tradizionali.
Ricordo che anche il Prof. Pontara aveva affermato che ci sono guerre “giuste”, quelle della Resistenza.
È davvero così?
Certo è che l’Ucraina si è difesa e si difende da un attacco voluto dal capo di uno Stato estero prevaricatore, si è difesa e si difende da una “invasione”, come detto sopra.
Europa, Stati Uniti, Israele, Turchia, Cina…, sentiamo i nomi di tutti questi Stati, dei loro Capi se non per renderci conto che le decisioni vengono prese dai potenti sulla pelle dei poveracci. I poveracci siamo noi, noi comuni mortali.
E sicuramente la decisione di invadere l’Ucraina e proseguire nell’occupazione di questa Terra, è stata presa da Putin e il suo entourage, non dal Popolo russo.
Mentre la decisione di Zelens'kyj di restare in Ucraina e difendere la sua Terra è supportata da un forte consenso del suo Popolo, e non solo, e dall’ammirazione di tante tantissime persone tra noi poveracci sparsi qua e là.
E allora?
Allora confidiamo in chi? In cosa?
Non ho risposte. Solo interrogativi. Certo è che la violenza genera violenza.
Da ragazza leggevo i classici russi, Tolstoy, Turgenev, Dostoevskij, Gor'kij e ho scoperto di recente che Gogol', autore considerato russo, è nato in Ucraina.
Credo di non aver letto autori ucraini.
Vedrò di rimediare nell’attesa di tempi migliori.
San Martino del Carso
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
È il mio cuore
il paese più straziato
Giuseppe Ungaretti
Sardara, 7 Marzo 2022
Autore della foto: ARIS MESSINIS - Copyright: ANSA
ca qui per modificare.
Della bruttezza - Confessione
Avevo letto un’intervista a Barbra Streisand, tempo fa, in cui la famosissima artista dichiarava che sua madre non le aveva mai detto che era bella. Il giornalista commentava dicendo: Sappiamo almeno che la madre di Barbra Streisand non diceva bugie!
Non sempre quindi “ogni scarafone è bello a mamma soia” (se si scrive così).
Prima ancora avevo letto ne “I rapporti umani” di Natalia Ginzburg “… quando gli altri ci parlano, vorremmo coprirci il viso con due mani tanto ci sembra brutto, informe il nostro viso” e, condividendo lo stesso pensiero, l’avevo trascritto, tra tanti, in una delle mie agende dove riporto le citazioni letterarie che più mi piacciono o con cui mi sento in sintonia.
Anni dopo, avevo trascritto la seguente citazione tratta da “Il valzer degli addii” di Milan Kundera (ho dovuto controllare le mie agende, pensavo fosse ne “L’insostenibile leggerezza dell’essere”): “Se Olga fosse stata solo un po’ più stupida, forse si sarebbe considerata carina. Invece era intelligente e si vedeva molto più brutta di quanto non fosse in realtà, giacché, a dire il vero, non era né brutta né bella, e qualsiasi uomo di esigenze estetiche normali avrebbe passato volentieri la notte con lei… che cosa importava essere fatta così o in un altro modo? Perché si tormentava a causa di un’immagine allo specchio?... Non era proprio capace di essere indipendente dal proprio aspetto, almeno nella misura in cui lo è ogni maschio?”.
E, anche se non ero più una adolescente, mi ero sentita in sintonia con la canzone “Brutta” presentata a Sanremo da Canino.
Insomma, l’avrete capito, da una certa età in poi mi sono sentita “BRUTTA”.
Provate voi ad essere la sorella di tre bambole!
Forse la prima volta in cui mi sono sentita brutta è stato al campeggio estivo con le suore del Cottolengo, non ricordo l’anno.
Non accorgendosi che io ero nei paraggi e a portata d’orecchio, avevo sentito tre ragazzine più grandi di me, di cui ricordo nome e cognome, affermare: “Sono belline le sorelle, la grande no, la grande a me non piace”, “Neanche a me”…
Passi pure sentire simili affermazioni, mi ero allontanata ed ero andata vicino alla recinzione con vista sul mare, non so con che pensieri, passi questo ma non avevo sentito solo io, aveva sentito anche la seconda delle mie sorelle che si era quindi avvicinata a me per consolarmi… Ed io l’avevo allontanata, forse non troppo gentilmente.
A tredici/quattordici anni, scrivevo nel mio diario, tutte le sere o quasi, frasi del tipo “Sono brutta”, “Mi vedo brutta”, e poi “Mi sono fatta la frangetta per provare ad essere bella artificialmente visto che non lo sono naturalmente” per aggiungere subito dopo “Ma chi è brutta resta brutta”.
Quando ero al ginnasio, mentre ero in pullman di rientro a casa, una ragazza del mio paese, più grande di me e di cui, anche in questo caso, ricordo nome e cognome, mi aveva toccato la spalla (era seduta dietro di me), io mi ero girata e rigirata subito e un ragazzino seduto a fianco a lei, (anche di lui ricordo nome e cognome), : “Girati, girati, tanto sei brutta” e la ragazzina: “Ma no, è molto carina”… Nel mio diario avevo trascritto l’accaduto traslitterando con l’alfabeto greco, chissà poi perché …
Forse quell’estate, o un’altra chissà, eravamo al mare, in una villa bellissima. Durante un pranzo, babbo esclama: “Daniela non è bella. È un tipo!”, come se la cosa avesse dovuto tirarmi su.
Della mia faccia da “tipo”, dapprima attribuivo la causa della mia bruttezza al naso, poi a tutta la faccia, specialmente di profilo.
Che mi portassi questo peso addosso, fino all’università, l’aveva indovinato un prete con cui le suore del pensionato per studentesse dove alloggiavo ci avevano fatto colloquiare.
Durante questo colloquio, che ci era stato più imposto che proposto, ero scoppiata a piangere e lui: “Ma ti senti brutta? Non sei brutta!”.
Ma io non ho mai creduto ai “Non sei brutta”.
Da bambina non mi ponevo problema alcuno. Ero una brunetta che si piaceva pensando che anche Cleopatra era bruna e bellissima.
Poi, con l’adolescenza e I suoi cambiamenti fisici e mentali, ecco, avevo smesso di piacermi. Bella, bellissima o brutta che fossi agli occhi degli altri, non mi piacevo e mi vedevo brutta, bruttissima.
Sono una che non si piace. Per me non vale il “Non sono bello. Piaccio” che con allegria sosteneva Jerry Calà, in un qualche film o telefilm.
Il fatto è che anche Platone sosteneva che attraverso il Bello si arriva al Buono, se non ricordo male, e a me è sempre piaciuto il “Bello”, nelle persone, nell’arte, nella natura.
Il Bello fatto di proporzioni classicheggianti, di ritmi armonici, di aspetto good-looking, il Bello che ti rapisce. Insomma ho sempre avuto esigenze estetiche medio-alte, anche per i ragazzi. Non ho mai trovato fascino nella bruttezza. E nemmeno nei “tipi”, tantomeno in quelli che si piacciono ogni mattina guardandosi allo specchio. Finora…
Eppure mi vedevo bella agli occhi degli altri, talora. E talora anche bellissima nelle foto. Foto che ora riguardo trovandomi perfino radiosa.
E il mio profilo che mai mi è piaciuto, è ciò che mi distingue. Durante una sessione di “Expression Corporelle”, sempre al pensionato universitario, eravamo state invitate a sostare, una ad una, su un palco dietro un telo su cui si proiettava la nostra ombra, di fronte e di profilo. Le altre stavano giù e dovevano indovinare chi fossimo: ebbene, vedendo la proiezione della mia ombra di fronte, nessuna indovinò ma, appena mi mostrai di profilo, ecco tutte in coro esclamare “Daniela!!!”.
Ecco, il mio profilo è il mio profilo!
Durante gli anni dell’Università, ho cominciato a diventare miope e quindi a dover portare gli occhiali. Sapete come chiamavo gli occhiali? “Occhiali-vedo-brutto”! E perché mai? Perché con il difetto della miopia, finché non fu diagnosticato, vedevo tutto e tutti avvolti in una nuvola ad effetto flou. Vedevo pelli e carnagioni senza difetto alcuno, contorni sfumati, lineamenti addolciti. E invece, invece, indossando gli occhiali, potevo notare imperfezioni e irregolarità a iosa, in tutto e tutti. Effetto occhiali-vedo-brutto, appunto!
Ora sono over fifthy, con i cambiamenti che il tempo comporta per tutti, maschi e femmine, (anche Piero Pelù cantava “Il mio corpo che cambia.. è in trasformazione”) e, in particolare, per le femmine, come io sono.
Vabbè i capelli bianchi, vabbè le rughe, vabbè i capillari rotti nelle gambe e nelle cosce che sono diventate una carta geografica, vabbè dover fare togli e metti con gli occhiali, vabbè la perdita della fertilità (cosa di cui non mi è mai importato), vabbè l’ipertensione, vabbè dolorini e acciacchi vari…, passi tutto questo, ma che si debba aumentare di peso per colpa del rallentamento del metabolismo e mettere su chili senza aver modificato lo stile di vita e lottare contro i mulini a vento cercando di mangiare meno e camminare di più (non mi si chieda altro quanto a “movimento” e “fitness”), ebbene, è un cambiamento difficile da accettare, a cui ho cercato e cerco di porre rimedio semplicemente cambiando taglia e modo di vestire, ahimè!
Magra consolazione che le donne curvy siano tornate di moda… - così si dice - ma, in realtà, ciò che continua a essere affermato, più o meno esplicitamente, è che “grasso è brutto”. Figurarsi per me che da bambina ero magrissima e venivo chiamata “stuzzicadenti” a casa, e che a diciotto anni facevo perfino digiuno per vedermi in forma e che, in effetti, a parte brevi parentesi in cui raggiungevo i quarantotto chili (orrore! orrore!), in effetti dicevo, sono sempre stata magra e anche magrissima. Vedermi nelle foto del passato e vedermi ora, con le forme da “Venere del Paleolitico”, tutta tette, pancia, sedere e cosce… beh, non mi rallegra.
“Accetta il tuo corpo!”, “Accetta il tuo corpo!”, dicevano in una gag un gruppo comico di cui non ricordo il nome finché la donna a cui continuavano a ripetere “Accetta il tuo corpo!”, si dava un colpo di accetta, uccidendosi…
Di recente mio padre, che ora parla senza filtri e sovrastrutture galanti, ha affermato: “Come sei bella!”, rivolta alla quarta delle sue figlie, e poi ha aggiunto: “Tutte belle le mie figlie! Tranne Daniela, Daniela no. Daniela non è bella, è molto simpatica però…”.
Eccomi servita!
Dovrò aspettare gli ottanta anni, come Iva Zanicchi, che ho visto in una trasmissione (si è vista in tutte le possibili trasmissioni Rai e delle TV private, di recente), dicevo, l’ho vista e sentita affermare che tutti ora le dicono che è bella mentre da giovane non era considerata così, nemmeno in famiglia, rispetto alle sue sorelle.
Eppure, pur non piacendomi, non mi ha mai sfiorato l’idea dei ritocchi chirurgici. Nemmeno per un secondo. Mi piacciono particolari del mio corpo e del mio viso: le sopracciglia folte che non alleggerisco, le labbra, i polsi, i piedi… Mi piace truccarmi e, da quando ho cominciato a farlo, ero al liceo, mi piace il mio volto con gli occhi sottolineati dal kajal e, da “giovane” non amavo mostrarmi senza trucco, “nature”. Ai tempi dell’università, mi ero sentita a disagio a dovermi mostrare senza gli occhi truccati quando mi era venuta una forma di allergia a non si sa cosa, che poi si è ripresentata a primavera, per qualche anno di seguito.
Ho sempre avuto presente la frase recitata da Totò alla fine di uno dei suoi film che, quando ero bambina e ragazzina, vedevamo in bianco e nero. Ho sempre ricordato e portato con me l’invocazione di Totò al Creatore: “Rendi, se vuoi, questa mia faccia ancora più ridicola ma aiutami a mostrarla con disinvoltura!”. Qualcosa del genere ricordavo. Ora ho trovato il monologo su YouTube, come “Preghiera del Clown”, a colori. Ecco il link, per chi volesse:
https://www.youtube.com/watch?v=ZGnrZGEZ0Nc
Show must go on!
(Totò è vissuto prima di Freddy Mercury).
Pavia, 12 giugno 2022
Avevo letto un’intervista a Barbra Streisand, tempo fa, in cui la famosissima artista dichiarava che sua madre non le aveva mai detto che era bella. Il giornalista commentava dicendo: Sappiamo almeno che la madre di Barbra Streisand non diceva bugie!
Non sempre quindi “ogni scarafone è bello a mamma soia” (se si scrive così).
Prima ancora avevo letto ne “I rapporti umani” di Natalia Ginzburg “… quando gli altri ci parlano, vorremmo coprirci il viso con due mani tanto ci sembra brutto, informe il nostro viso” e, condividendo lo stesso pensiero, l’avevo trascritto, tra tanti, in una delle mie agende dove riporto le citazioni letterarie che più mi piacciono o con cui mi sento in sintonia.
Anni dopo, avevo trascritto la seguente citazione tratta da “Il valzer degli addii” di Milan Kundera (ho dovuto controllare le mie agende, pensavo fosse ne “L’insostenibile leggerezza dell’essere”): “Se Olga fosse stata solo un po’ più stupida, forse si sarebbe considerata carina. Invece era intelligente e si vedeva molto più brutta di quanto non fosse in realtà, giacché, a dire il vero, non era né brutta né bella, e qualsiasi uomo di esigenze estetiche normali avrebbe passato volentieri la notte con lei… che cosa importava essere fatta così o in un altro modo? Perché si tormentava a causa di un’immagine allo specchio?... Non era proprio capace di essere indipendente dal proprio aspetto, almeno nella misura in cui lo è ogni maschio?”.
E, anche se non ero più una adolescente, mi ero sentita in sintonia con la canzone “Brutta” presentata a Sanremo da Canino.
Insomma, l’avrete capito, da una certa età in poi mi sono sentita “BRUTTA”.
Provate voi ad essere la sorella di tre bambole!
Forse la prima volta in cui mi sono sentita brutta è stato al campeggio estivo con le suore del Cottolengo, non ricordo l’anno.
Non accorgendosi che io ero nei paraggi e a portata d’orecchio, avevo sentito tre ragazzine più grandi di me, di cui ricordo nome e cognome, affermare: “Sono belline le sorelle, la grande no, la grande a me non piace”, “Neanche a me”…
Passi pure sentire simili affermazioni, mi ero allontanata ed ero andata vicino alla recinzione con vista sul mare, non so con che pensieri, passi questo ma non avevo sentito solo io, aveva sentito anche la seconda delle mie sorelle che si era quindi avvicinata a me per consolarmi… Ed io l’avevo allontanata, forse non troppo gentilmente.
A tredici/quattordici anni, scrivevo nel mio diario, tutte le sere o quasi, frasi del tipo “Sono brutta”, “Mi vedo brutta”, e poi “Mi sono fatta la frangetta per provare ad essere bella artificialmente visto che non lo sono naturalmente” per aggiungere subito dopo “Ma chi è brutta resta brutta”.
Quando ero al ginnasio, mentre ero in pullman di rientro a casa, una ragazza del mio paese, più grande di me e di cui, anche in questo caso, ricordo nome e cognome, mi aveva toccato la spalla (era seduta dietro di me), io mi ero girata e rigirata subito e un ragazzino seduto a fianco a lei, (anche di lui ricordo nome e cognome), : “Girati, girati, tanto sei brutta” e la ragazzina: “Ma no, è molto carina”… Nel mio diario avevo trascritto l’accaduto traslitterando con l’alfabeto greco, chissà poi perché …
Forse quell’estate, o un’altra chissà, eravamo al mare, in una villa bellissima. Durante un pranzo, babbo esclama: “Daniela non è bella. È un tipo!”, come se la cosa avesse dovuto tirarmi su.
Della mia faccia da “tipo”, dapprima attribuivo la causa della mia bruttezza al naso, poi a tutta la faccia, specialmente di profilo.
Che mi portassi questo peso addosso, fino all’università, l’aveva indovinato un prete con cui le suore del pensionato per studentesse dove alloggiavo ci avevano fatto colloquiare.
Durante questo colloquio, che ci era stato più imposto che proposto, ero scoppiata a piangere e lui: “Ma ti senti brutta? Non sei brutta!”.
Ma io non ho mai creduto ai “Non sei brutta”.
Da bambina non mi ponevo problema alcuno. Ero una brunetta che si piaceva pensando che anche Cleopatra era bruna e bellissima.
Poi, con l’adolescenza e I suoi cambiamenti fisici e mentali, ecco, avevo smesso di piacermi. Bella, bellissima o brutta che fossi agli occhi degli altri, non mi piacevo e mi vedevo brutta, bruttissima.
Sono una che non si piace. Per me non vale il “Non sono bello. Piaccio” che con allegria sosteneva Jerry Calà, in un qualche film o telefilm.
Il fatto è che anche Platone sosteneva che attraverso il Bello si arriva al Buono, se non ricordo male, e a me è sempre piaciuto il “Bello”, nelle persone, nell’arte, nella natura.
Il Bello fatto di proporzioni classicheggianti, di ritmi armonici, di aspetto good-looking, il Bello che ti rapisce. Insomma ho sempre avuto esigenze estetiche medio-alte, anche per i ragazzi. Non ho mai trovato fascino nella bruttezza. E nemmeno nei “tipi”, tantomeno in quelli che si piacciono ogni mattina guardandosi allo specchio. Finora…
Eppure mi vedevo bella agli occhi degli altri, talora. E talora anche bellissima nelle foto. Foto che ora riguardo trovandomi perfino radiosa.
E il mio profilo che mai mi è piaciuto, è ciò che mi distingue. Durante una sessione di “Expression Corporelle”, sempre al pensionato universitario, eravamo state invitate a sostare, una ad una, su un palco dietro un telo su cui si proiettava la nostra ombra, di fronte e di profilo. Le altre stavano giù e dovevano indovinare chi fossimo: ebbene, vedendo la proiezione della mia ombra di fronte, nessuna indovinò ma, appena mi mostrai di profilo, ecco tutte in coro esclamare “Daniela!!!”.
Ecco, il mio profilo è il mio profilo!
Durante gli anni dell’Università, ho cominciato a diventare miope e quindi a dover portare gli occhiali. Sapete come chiamavo gli occhiali? “Occhiali-vedo-brutto”! E perché mai? Perché con il difetto della miopia, finché non fu diagnosticato, vedevo tutto e tutti avvolti in una nuvola ad effetto flou. Vedevo pelli e carnagioni senza difetto alcuno, contorni sfumati, lineamenti addolciti. E invece, invece, indossando gli occhiali, potevo notare imperfezioni e irregolarità a iosa, in tutto e tutti. Effetto occhiali-vedo-brutto, appunto!
Ora sono over fifthy, con i cambiamenti che il tempo comporta per tutti, maschi e femmine, (anche Piero Pelù cantava “Il mio corpo che cambia.. è in trasformazione”) e, in particolare, per le femmine, come io sono.
Vabbè i capelli bianchi, vabbè le rughe, vabbè i capillari rotti nelle gambe e nelle cosce che sono diventate una carta geografica, vabbè dover fare togli e metti con gli occhiali, vabbè la perdita della fertilità (cosa di cui non mi è mai importato), vabbè l’ipertensione, vabbè dolorini e acciacchi vari…, passi tutto questo, ma che si debba aumentare di peso per colpa del rallentamento del metabolismo e mettere su chili senza aver modificato lo stile di vita e lottare contro i mulini a vento cercando di mangiare meno e camminare di più (non mi si chieda altro quanto a “movimento” e “fitness”), ebbene, è un cambiamento difficile da accettare, a cui ho cercato e cerco di porre rimedio semplicemente cambiando taglia e modo di vestire, ahimè!
Magra consolazione che le donne curvy siano tornate di moda… - così si dice - ma, in realtà, ciò che continua a essere affermato, più o meno esplicitamente, è che “grasso è brutto”. Figurarsi per me che da bambina ero magrissima e venivo chiamata “stuzzicadenti” a casa, e che a diciotto anni facevo perfino digiuno per vedermi in forma e che, in effetti, a parte brevi parentesi in cui raggiungevo i quarantotto chili (orrore! orrore!), in effetti dicevo, sono sempre stata magra e anche magrissima. Vedermi nelle foto del passato e vedermi ora, con le forme da “Venere del Paleolitico”, tutta tette, pancia, sedere e cosce… beh, non mi rallegra.
“Accetta il tuo corpo!”, “Accetta il tuo corpo!”, dicevano in una gag un gruppo comico di cui non ricordo il nome finché la donna a cui continuavano a ripetere “Accetta il tuo corpo!”, si dava un colpo di accetta, uccidendosi…
Di recente mio padre, che ora parla senza filtri e sovrastrutture galanti, ha affermato: “Come sei bella!”, rivolta alla quarta delle sue figlie, e poi ha aggiunto: “Tutte belle le mie figlie! Tranne Daniela, Daniela no. Daniela non è bella, è molto simpatica però…”.
Eccomi servita!
Dovrò aspettare gli ottanta anni, come Iva Zanicchi, che ho visto in una trasmissione (si è vista in tutte le possibili trasmissioni Rai e delle TV private, di recente), dicevo, l’ho vista e sentita affermare che tutti ora le dicono che è bella mentre da giovane non era considerata così, nemmeno in famiglia, rispetto alle sue sorelle.
Eppure, pur non piacendomi, non mi ha mai sfiorato l’idea dei ritocchi chirurgici. Nemmeno per un secondo. Mi piacciono particolari del mio corpo e del mio viso: le sopracciglia folte che non alleggerisco, le labbra, i polsi, i piedi… Mi piace truccarmi e, da quando ho cominciato a farlo, ero al liceo, mi piace il mio volto con gli occhi sottolineati dal kajal e, da “giovane” non amavo mostrarmi senza trucco, “nature”. Ai tempi dell’università, mi ero sentita a disagio a dovermi mostrare senza gli occhi truccati quando mi era venuta una forma di allergia a non si sa cosa, che poi si è ripresentata a primavera, per qualche anno di seguito.
Ho sempre avuto presente la frase recitata da Totò alla fine di uno dei suoi film che, quando ero bambina e ragazzina, vedevamo in bianco e nero. Ho sempre ricordato e portato con me l’invocazione di Totò al Creatore: “Rendi, se vuoi, questa mia faccia ancora più ridicola ma aiutami a mostrarla con disinvoltura!”. Qualcosa del genere ricordavo. Ora ho trovato il monologo su YouTube, come “Preghiera del Clown”, a colori. Ecco il link, per chi volesse:
https://www.youtube.com/watch?v=ZGnrZGEZ0Nc
Show must go on!
(Totò è vissuto prima di Freddy Mercury).
Pavia, 12 giugno 2022
In tema di aborto e abortismo
Era il 1976.
Ferveva il dibattito in tema di aborto prima che, due anni dopo, venisse approvata in Italia la Legge 194, con cui venne depenalizzata e disciplinata l’interruzione volontaria della gravidanza.
In quell’anno venne pubblicato un pamphlet, un saggio polemico, in tema, dal titolo “Abortismo libertario e sadismo”. L’autore era il filosofo Luigi Lombardi Vallauri, di formazione cattolica ma che nel 1998 fu allontanato dall’Università presso la quale aveva lavorato per più di vent’anni., perché il suo pensiero era stato ritenuto non conforme rispetto all’ortodossia della Chiesa.
Anni dopo, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha riconosciuto la lesione dei diritti del filosofo.
Ma non è di questo che voglio scrivere adesso…
Mi è tornato in mente il pamplhet di Lombardi Vallauri ora che si parla nuovamente di “aborto” non solo in Italia, ma anche, come è a tutti noto, negli Stati Uniti e in Europa.
La pratica dell’aborto è sempre esistita ma la sua giustificazione ideologica, l’abortismo, no.
L’interruzione volontaria della gravidanza ha trovato una sua “fondazione” soltanto in epoca moderna. Ed ecco quindi che è nato anche l’ “-ismo” per giustificare e fondare l’aborto, la negazione alla vita di nient’altro che “un grumo di cellule” – parole di Dacia Maraini citata dal filosofo.
Lombardi Vallauri ritrova le basi teoriche dell’abortismo nel “sadismo”, nella “filosofia”, nel pensiero del Marchese De Sade, una filosofia, un pensiero anti-umanista il cui principio cardine viene ravvisato nel principio “considera l’altro sempre come mezzo e mai come fine”, in opposizione al principio formulato da Kant “considera l’altro sempre come fine e mai come mezzo”.
Chi abbia letto i libri di De Sade, avrà potuto constatare che il pensiero alla base delle sue narrazioni, come “La filosofia nel boudoir”, è un pensiero di anti-vita, di violenza, di morte e crudeltà, non solo in campo sessuale, in funzione di un individualismo edonista e libertario.
Che De Sade avversasse apertamente la fertilità femminile e la gravidanza ed esortasse alla pratica della sodomia per evitarla, non lo ha certo scoperto Lombardi Vallauri ma Lombardi Vallauri ne ha evidenziato il fondamento nel principio anti-kantiano come detto sopra.
E allora?
Allora, mi chiedo, quando comunemente di afferma di essere “a favore” o “contro” l’aborto, ci si sofferma a pensare a quale principi implicitamente si propugnano e avvalorano?
Chi ha sostenuto e sostiene che “il corpo è mio e me lo gestisco io”, trovando in questo principio, la giustificazione della pratica dell’aborto, arriva ad essere coerente fino in fondo in tema di maternità surrogata e utero in affitto?!
E chi ritiene che l’aborto debba essere affermato come “diritto” negli ordinamenti giuridici, si sofferma a pensare che accanto ai “diritti” vi sono anche i correlati “doveri”?
Certo, in un ordinamento giuridico “positivo” (nel senso di diritto “positum”, diritto posto e imposto dallo Stato mediante le sue norme), c’è spazio per una infinità di “diritti” volendo, nel senso che lo Stato può prevedere e disciplinare tutti i “diritti” che si vuole... ma è questa libertà?
Chi afferma di essere a favore dell’aborto, spesso, - è una constatazione - afferma anche i “diritti” degli animali in quanto esseri che non possono difendersi da soli, esseri più deboli che, proprio per questo, vanno maggiormente tutelati…
E allora, il “grumo di cellule” che cresce nel ventre di una donna, non è forse essere debole, non ha “diritti”, primo fra tutti quello alla “Vita”?
Così come spesso chi si dichiara a favore dell’aborto, si dichiara anche contro la pena di morte…
Se vale “Nessuno tocchi Caino” in nome del principio di intangibilità della vita da parte dello Stato allora non dovrebbe valere lo stesso principio per l’embrione…?!
Ricordo un dibattito all’Università in cui si era evidenziato che ha poco senso affermare di essere a favore o contro l’aborto… Ci si dovrebbe chiedere invece, “Vogliamo che la pratica dell’aborto sia penalizzata? Sia considerata un reato dall’ordinamento giuridico?”.
Ecco che allora la prospettiva cambia.
Ecco che allora si è portati, o si dovrebbe essere portati, a considerare “scelte tragiche” quelle che stanno alla base di una interruzione volontaria della gravidanza, scelte in cui si bilanciano valori contrastanti, scelte drammatiche, e non certo un leggero e spensierato ricorso alla pratica dell’aborto come mezzo alternativo alla contraccezione.
Ci vorrebbe un trattato per affrontare l’argomento.
Ho voluto solo indicare degli spunti di riflessione, lasciando a ciascuno, e a ciascuna in particolare, la libertà di trarre le conclusioni che crede in base al suo vissuto e alle sue esperienze.
Quanto a me, fortunatamente non mi sono mai trovata a dover fare scelte tragiche in tema di interruzione volontaria della gravidanza, e ho sempre considerato valore primario la Vita, in tutte le sue espressioni, perché per me la Vita non ha un valore, la Vita è un valore!
Sardara, 10 luglio 2022
About abortion and abortionism
It was 1976.
The debate on the subject of abortion was raging, before, two years later, in Italy, Law 194 was approved, which decriminalized and regulated the voluntary interruption of pregnancy.
In that year a pamphlet was published, a controversial essay on the subject, entitled "Libertarian abortionism and sadism". The author was the philosopher Luigi Lombardi Vallauri, of Catholic education but who in 1998 was expelled from the University where he had worked for more than twenty years, because his thought was considered not in conformity with the orthodoxy of the Church.
Years later, the European Court of Human Rights recognized the violation of the philosopher's rights.
But that's not what I want to write about now ...
I was reminded of Lombardi Vallauri's pamplhet now that there is a debate about "abortion" again not only in Italy, but also, as everyone knows, in the United States and in Europe.
The practice of abortion has always existed but its ideological justification, abortionism, has not.
The voluntary termination of pregnancy found its "foundation" only in the modern era.
And so, another "-ism" was also born to justify and found abortion, the denial of life to nothing other than "a lump of cells" - words of Dacia Maraini quoted by the philosopher.
Lombardi Vallauri finds the theoretical basis of abortion in "sadism", in the "philosophy", in the thought of the Marquis De Sade, a philosophy, an anti-humanist thought whose cardinal principle is recognized in the principle "always consider the other as a means and never as an end", in opposition to the principle formulated by Kant" always considers the other as an end and never as a means ".
Anyone who has read De Sade's books will have noticed that the thought underlying his narratives, such as "Philosophy in the boudoir", is a thought of anti-life, violence, death and cruelty, not only in the sexual field , in function of a hedonistic and libertarian individualism.
That De Sade openly opposed female fertility and pregnancy and urged the practice of sodomy to avoid it, Lombardi Vallauri certainly did not discover, but Lombardi Vallauri highlighted its foundation in the anti-Kantian principle as mentioned above.
So?
So, I wonder, when people commonly claim to be "for" or "against" abortion, do they stop to think about which principles they implicitly advocate and support?
Who has argued and maintains that "the body is mine and I manage it", finding in this principle the justification for the practice of abortion, comes to be fully consistent in terms of surrogacy and uterus for rent ?!
And who believes that abortion should be affirmed as a "right" in legal systems, pauses to think that alongside "rights" there are also related "duties"?
Of course, in a "positive" legal system (in the sense of "positum" law, a law established and imposed by the State through its norms), there is room for an infinity of "rights" if desired, in the sense that the State can provide and regulate all the "rights" you want ... but is this freedom?
Those who claim to be in favor of abortion often - it is an observation - also affirm the "rights" of animals as beings who cannot defend themselves, weaker beings who, precisely for this reason, must be better protected ...
And then, the "clot of cells" that grows in a woman's womb, is it not perhaps a being weak, s/he has no "rights", first of all that to "Life"?
Just as often those who declare themselves in favor of abortion also declare themselves against the death penalty ...
If "Hands off Cain" is valid in the name of the principle of the intangibility of life by the State, then shouldn't the same principle apply to the embryo ... ?!
I remember a debate at the University in which it was pointed out that it makes little sense to claim to be for or against abortion ...
Instead, one should ask, "Do we want the practice of abortion to be penalized? Is it considered a crime by the legal system? ".
Here then the perspective changes.
So then one is led, or should be led, to consider "tragic choices" those that are at the basis of a voluntary termination of pregnancy, choices in which contrasting values are balanced, dramatic choices and certainly not a light and carefree recourse to practice of abortion as an alternative means to contraception.
It would take a treaty to address the subject.
I just wanted to indicate food for thought, leaving to each person, and each woman in particular, the freedom to draw the conclusions they believe based on their lives and experiences.
As for me, I fortunately never found myself having to have to make tragic choices in terms of voluntary termination of pregnancy, and I have always considered Life as a primary value, in all its expressions, because for me Life has no value, Life it is a value !
Sardara, July the 10th 2022
It was 1976.
The debate on the subject of abortion was raging, before, two years later, in Italy, Law 194 was approved, which decriminalized and regulated the voluntary interruption of pregnancy.
In that year a pamphlet was published, a controversial essay on the subject, entitled "Libertarian abortionism and sadism". The author was the philosopher Luigi Lombardi Vallauri, of Catholic education but who in 1998 was expelled from the University where he had worked for more than twenty years, because his thought was considered not in conformity with the orthodoxy of the Church.
Years later, the European Court of Human Rights recognized the violation of the philosopher's rights.
But that's not what I want to write about now ...
I was reminded of Lombardi Vallauri's pamplhet now that there is a debate about "abortion" again not only in Italy, but also, as everyone knows, in the United States and in Europe.
The practice of abortion has always existed but its ideological justification, abortionism, has not.
The voluntary termination of pregnancy found its "foundation" only in the modern era.
And so, another "-ism" was also born to justify and found abortion, the denial of life to nothing other than "a lump of cells" - words of Dacia Maraini quoted by the philosopher.
Lombardi Vallauri finds the theoretical basis of abortion in "sadism", in the "philosophy", in the thought of the Marquis De Sade, a philosophy, an anti-humanist thought whose cardinal principle is recognized in the principle "always consider the other as a means and never as an end", in opposition to the principle formulated by Kant" always considers the other as an end and never as a means ".
Anyone who has read De Sade's books will have noticed that the thought underlying his narratives, such as "Philosophy in the boudoir", is a thought of anti-life, violence, death and cruelty, not only in the sexual field , in function of a hedonistic and libertarian individualism.
That De Sade openly opposed female fertility and pregnancy and urged the practice of sodomy to avoid it, Lombardi Vallauri certainly did not discover, but Lombardi Vallauri highlighted its foundation in the anti-Kantian principle as mentioned above.
So?
So, I wonder, when people commonly claim to be "for" or "against" abortion, do they stop to think about which principles they implicitly advocate and support?
Who has argued and maintains that "the body is mine and I manage it", finding in this principle the justification for the practice of abortion, comes to be fully consistent in terms of surrogacy and uterus for rent ?!
And who believes that abortion should be affirmed as a "right" in legal systems, pauses to think that alongside "rights" there are also related "duties"?
Of course, in a "positive" legal system (in the sense of "positum" law, a law established and imposed by the State through its norms), there is room for an infinity of "rights" if desired, in the sense that the State can provide and regulate all the "rights" you want ... but is this freedom?
Those who claim to be in favor of abortion often - it is an observation - also affirm the "rights" of animals as beings who cannot defend themselves, weaker beings who, precisely for this reason, must be better protected ...
And then, the "clot of cells" that grows in a woman's womb, is it not perhaps a being weak, s/he has no "rights", first of all that to "Life"?
Just as often those who declare themselves in favor of abortion also declare themselves against the death penalty ...
If "Hands off Cain" is valid in the name of the principle of the intangibility of life by the State, then shouldn't the same principle apply to the embryo ... ?!
I remember a debate at the University in which it was pointed out that it makes little sense to claim to be for or against abortion ...
Instead, one should ask, "Do we want the practice of abortion to be penalized? Is it considered a crime by the legal system? ".
Here then the perspective changes.
So then one is led, or should be led, to consider "tragic choices" those that are at the basis of a voluntary termination of pregnancy, choices in which contrasting values are balanced, dramatic choices and certainly not a light and carefree recourse to practice of abortion as an alternative means to contraception.
It would take a treaty to address the subject.
I just wanted to indicate food for thought, leaving to each person, and each woman in particular, the freedom to draw the conclusions they believe based on their lives and experiences.
As for me, I fortunately never found myself having to have to make tragic choices in terms of voluntary termination of pregnancy, and I have always considered Life as a primary value, in all its expressions, because for me Life has no value, Life it is a value !
Sardara, July the 10th 2022
In cosa siamo “uguali” – Spunti di riflessione
Il giorno in cui i telegiornali diedero notizia della nascita di una bambina felicemente accolta in un campo profughi, nacque anche un’altra bambina, felicemente accolta in Gran Bretagna e chiamata la “Royal Baby”.
A me vennero in mente le parole un po’ sgrammaticate della bellissima canzone “Vent’anni” interpretata splendidamente da Massimo Ranieri:
“La mia vita cominciò
Come l'erba come il fiore
E mia madre mi baciò
Come fossi il primo amore
Nasce così la vita mia
Come comincia una poesia
Io credo che lassù
C'era un sorriso anche per me
La stessa luce che
Si accende quando nasce un re”.
Sono quasi sicura che ogni volta che una nuova vita si affaccia al Mondo, “Lassù” ci sia un sorriso e si accenda una luce, per tutti e per ciascuno di noi.
Non così accade quaggiù, purtroppo!
Vi sono nuove vite che nemmeno vengono al mondo, vengono soppresse prima di venire alla luce, e vi sono vite, di bambini e bambine (per limitarmi al mondo degli umani) che non certo si affacciano al mondo nelle stesse condizioni di partenza.
Sappiamo bene che una bambina nata in un campo profughi non avrà le stesse possibilità di vita di una royal baby. Non le ha nemmeno in potenza. Su questo non ci sono dubbi, ahimè …
Eppure ci viene insegnato che tutti siamo uguali, davanti a Dio e davanti alla Legge, intendendo, almeno nei paesi democratici, la “Legge dello Stato”, “Il Diritto”.
Ahimè sappiamo bene che neanche questo è vero: possiamo essere uguali davanti a Dio, ma di certo non lo siamo davanti alla Legge, nemmeno in una democrazia, nemmeno in uno Stato di Diritto, e nemmeno ricorrendo all’artificiosa distinzione tra “Uguaglianza Formale” e “Uguaglianza Sostanziale” dei manuali di diritto costituzionale.
Totò ha scritto e interpretato una bellissima poesia: “La Livella”, in cui un “titolato” e un “povero” si trovano ad essere vicini di tomba in cimitero.
"E cosa aspetti, oh turpe malcreato
Che l'ira mia raggiunga l'eccedenza?
Se io non fossi stato un titolato
Avrei già dato piglio alla violenza!"
"Famme vedé.-piglia sta violenza
'A verità, Marché, mme so' scucciato
'E te senti; e si perdo 'a pacienza
Mme scordo ca so' muorto e so mazzate!
Ma chi te cride d'essere, nu ddio?
Ccà dinto, 'o vvuo capi, ca simmo eguale?
Muorto si'tu e muorto so' pur'io;
Ognuno comme a 'na'ato é tale e quale".
Il titolato si irrita per la vicinanza poco consona al suo “titolo” e il pover’uomo fa osservare che titolato e povero, morti sono, uguali nella morte.
La morte sarebbe quindi come una “livella”.
Eppure, eppure, non è nemmeno così.
Certo, davanti al Creatore arriviamo tutti nudi, tutti polvere, lasciando averi e affetti di questo mondo.
Ma, ma in questo mondo, non siamo uguali nemmeno nella morte.
Un bambino che muore di fame (di fame!!!), una bambina che muore per un’infezione dopo l’infibulazione, un povero Cristo che muore solo in ospedale, un barbone che muore per strada, un “pazzo” che muore a seguito di un intervento di “TSO” (trattamento sanitario obbligatorio), una donna che muore per i colpi del “suo” uomo, un ragazzino che muore perché si toglie la vita, un muratore che muore cadendo da un’impalcatura, un pover’uomo che muore in un pronto soccorso perché non gli vengono somministrate le sue medicine mentre aspetta il suo turno, una casalinga che muore per un incidente domestico, una donna che muore dando alla luce un figlio, un soldato che muore combattendo una guerra non sua, un impiegato qualsiasi che muore in un ufficio di un grattacielo dopo l’impatto di un aereo a seguito di un attentato terroristico… tutte queste morti (e l’elenco è puramente indicativo e non esaustivo…), tutte queste morti, sono “uguali”?! Sono uguali a quella di un ricco? Sono uguali a quella di un politico? Di un attore o di un cantante di grido? Di un alto prelato (di ogni tipo di Chiesa e di religione)? Di un Capo di Stato? Di una… Regina?!
Sicuramente no. Non in questo mondo!
E lo sappiamo, lo sappiamo bene! Non siamo uguali nemmeno nella morte.
Lo sappiamo così bene che nemmeno ci facciamo più caso, lo diamo per scontato in questo mondo. La vita va così…
Eppure, eppure, in qualcosa siamo (quasi) uguali.
Quando ero all’Università, avevo letto in una qualche rivista per studenti, che un modo per presentarsi agli esami senza patemi d’animo e senza sentirsi intimiditi, fosse quello di immaginare i “Professori” accomodati sul… water.
In realtà, non ricordo di aver fatto ricorso a questo stratagemma ma mi è tornato in mente qualche anno fa, quando le mie nipotine nate a Barcellona, hanno portato una statuina particolare per il Presepe. Una statuina tipica del Presepe catalano.
Indovinate chi?
“El Caganer”!!!
Un uomo accovacciato nella posizione in cui ci si alleggerisce le viscere…
Proprio così!
Direte, “È irriverente! Irrispettoso! Di cattivo gusto!”. L’ho pensato anch’io all’inizio… Ma non è così!
Riporto in calce il link a un sito sui “Caganers”, in particolare il link dedicato ai Caganers famosi.
Tra i “Caganers Politicos” (ma ci sono tante altre categorie), potrete trovare la new entry Zelensky come Putin, Berlusconi come Beppe Grillo, Obama come Fidel Castro, Marie Le Pen come Hilary Clinton, il principe Guillermo (che sarebbe William), come la consorte “Princesa Middleton”, la Reina Leticia (la Regina di Spagna) come la Reina Isabel II (che sarebbe, sì proprio lei, la Regina Elisabetta)…, tutti e tutte nella stessa posizione, tutti e tutte accovacciati e accovacciate in quel momento lì…
E allora?
Allora, mentre nel Terzo Millennio siamo costantemente informati dai media sulle prodezza di Kate Middleton, che un giorno sarà “regina”, forse in qualcosa , almeno un po’, siamo uguali!
Dovremmo ricordare tutti che, per quanto alto sia lo scranno in cui siediamo, siediamo sempre sul nostro sedere!
Se ne ricordasse uno dei potenti, monarchi o “laici”, di questo mondo…!!!
Viva “El Caganer”!!!
Di seguito i link a:
“Vent’anni”
“La Livella”
“Caganers”
Sardara, 11 Settembre 2022
https://www.youtube.com/watch?v=pIf7et701IU
https://www.youtube.com/watch?v=AZ8mrzSKzQs
https://caganer.com/es/info/famosos-38
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