2024
Citazioni da “Parlando con le api” di Peggy Hesketh
Non una nuova uscita ma un libro che avevo acquistato da tempo, che avevo sistemato nella mia libreria e che mi sono concessa di leggere solo in questi giorni...
Un romanzo in cui si mescolano passato e presente, verità e menzogne, segreti e rivelazioni, violenza e dolcezza, rimpianti e rimorsi, ricordi e dimenticanze, saggezza e inesperienza, colpe e innocenza... Vita e Morte, incessantemente accompagnati dal volo e dal ronzio delle api e dal loro misterioso e affascinante mondo.
Per chi voglia lasciarsi ammaliare, trascinante, malinconico e struggente fino all’ultima pagina.
“Ora, mentre rifletto su quelle settimane oscure che seguirono gli omicidi di Claire e Hilda, mi trovo a ripensare a una citazione di Henry Wadsworth Longfellow che mia madre aveva incollato in uno dei suoi album di ritagli: ‘Spesso le bugie più crudeli sono pronunciate in silenzio’
E custodite nell’oscurità, avrei aggiunto io”.
…
“Come si misura il tempo? Oggi i fisici ritengono che Einstein si sia sbagliato, che le particelle subatomiche siano in grado di muoversi più rapidamente della velocità della luce. Da quello che ho letto, questo può alterare il modo in cui percepiamo l’universo.
Trovo le implicazioni di questi calcoli affascinanti in senso astratto, eppure sono un semplice apicoltore. Come le mie api, sono stato educato a percepire il tempo osservando il trascorrere delle stagioni. Devo ammettere che si tratta di una tecnica di misurazione meno precisa, ma per gran parte della vita mi ha offerto il conforto della prevedibilità. La primavera è la stagione della nuova vita. L’estate ne contrassegna la pienezza. L’autunno il declino. E l’inverno annuncia la morte e, con i primi fili d’erba della primavera, la speranza di rinnovamento.
E poi il tempo è crollato.
Per me è crollato quell’orribile mattina di primavera in cui ho scoperto i corpi senza vita di Claire e Hilda Straussman legati e imbavagliati sul pavimento del loro soggiorno”.
…
“’Be’, anche mia madre aveva un detto’ ribatté il detective Grayson dopo un istante di riflessione. ‘Diceva sempre che non è un uomo onesto chi si brucia la lingua e non dice ai compagni che la minestra è bollente’”.
…
“’Non è stata colpa mia’ insistetti rivolto all’ombra che si increspava come le onde di calore che salgono dall’asfalto.
Poi udii gli alberi frusciare all’esterno e le foglie sembravano sussurrare: ‘Non è stata colpa sua’”.
…
“Da giovane Sant’Agostino era stato penosamente tentato dalle lusinghe della carne, e per sua stessa ammissione in molte occasioni la sua resistenza aveva ceduto. Ma Agostino si era pentito del suo passato. Si era reso conto che Dio ha creato l’uomo in quanto animale razionale, composto da corpo e anima. Dio permette all’uomo di peccare, scrisse, ma non impunemente. E perseguita l’uomo con la sua misericordia. Lascia che l’uomo condivida la vita generativa degli alberi e la vita dei sensi delle bestie dei campi, ma con un’unica differenza: l’uomo può condividere la vita dell’intelligenza soltanto con gli angeli”.
…
“’I morti non riescono a raggiungere il riposo se sono trattenuti dall’amore che non è disposto ad arrendersi’ sussurrò con voce che somigliava al fruscio delle foglie di eucalipto nel caldo vento di settembre”,
…
“Il tempo non lenisce tutte le ferite.
Come ha osservato una volta Castelvetro, la tragedia ha sempre due dimensioni: una accessibile ai sensi, esterna e misurabile con l’orologio, l’altra accessibile all’intelletto, interna e misurabile con la mente”.
Buona lettura a chi vorrà!
Sardara, 4 Gennaio 2024
P.S. L'autrice ha avuto una buona maestra...
Come va tutto bene… quando va tutto bene!
Certo, la vita è bella… quando è bella.
Godersi la propria stagione, ogni età della vita, l’infanzia, la fanciullezza, la giovinezza, l’età adulta, la maturità e poi infine la vecchiaia…
A ognuno le sue stagioni, come ha scritto Giovanni Comisso[1]: a ognuno le sue primavere, le sue estati, i suoi autunni e i suoi inverni, volutamente al plurale, sia perché ciascuna stagione è differente per ognuno di noi, sia soprattutto perché ciascuno di noi credo sperimenti così tanti aspetti di ogni periodo della propria vita che dire “Primavera”, “Estate”, “Autunno”, “Inverno”, quattro stagioni soltanto per ciascuno di noi, mi pare riduttivo.
Per quanto mi riguarda, mi trovo, over fifthy, ad inoltrarmi nella stagione dell’“Autunno” e quindi comincio non certo a fare bilanci, non si riduce una vita a un preventivo in gioventù e a un consuntivo nella maturità, dicevo, non faccio bilanci ma solo qualche riflessione senza pretese.
E, come tutti, posso dire di aver sperimentato bello e brutto, positivo e negativo. Molte aspettative della gioventù sono andate deluse ma le piccole conquiste quotidiane, quelle degli eroi e delle eroine di tutti i giorni, quelle dell’ordinarietà che, a volte, a pensarci bene, hanno dello straordinario, ebbene, queste piccole conquiste, una ad una, passo dopo passo, goccia a goccia… non sono da buttar via. Credo.
Ebbene, mi trovo ora a voler evidenziare un pensiero.
E il pensiero è questo: tutti noi, chi prima, chi dopo, arriviamo a ricoprire dei ruoli nella vita lavorativa, che è quella di cui soprattutto si parla su Linkedin, che, come è ovvio, ci portano ad interagire con altri. E “noi” come gli “altri” siamo non alieni, non entità astratte, siamo “persone”, “individui”, ognuno con il proprio vissuto e con il proprio bagaglio esistenziale sulle spalle.
Ognuno di noi, interagendo con altri, si pone in relazione con una persona, con un individuo e ne influenza la vita, l’esistenza, nel bene e nel male, con tutto ciò che può derivarne, come una piccola gioia o perfino un grande dolore.
Lo dovrebbero sapere bene i medici, che hanno a che fare con “persone”, con individui.
“Una persona alla volta”, dice Gino Strada[2].
Lo dovrebbero sapere, ma forse, spesso, ahimè, se ne dimenticano e allora, capita, che nemmeno si presentino a un appuntamento dopo che un malato affronta un faticoso viaggio in ambulanza o, un’altra volta, si degnino di presentarsi ma senza concedere al “paziente” non solo una parola ma nemmeno uno sguardo.
Così come dovrebbero saperlo bene anche infermieri e paramedici in generale.
Ma, non solo loro, è ovvio. Medici e paramedici, col loro lavoro, influiscono sulla salute, sulla vita, sul benessere fisico e mentale delle persone, influiscono su quelli che sono beni, valori primari e perciò sono maggiormente evidenti, o dovrebbero esserlo, i casi in cui, se qualcosa va male, le conseguenze si rivelano poi essere gravissime e molto, molto pesanti.
Conseguenze altrettanto gravi possono derivare dai comportamenti, dalle decisioni di chi opera e influisce sul bene “libertà” e mi riferisco soprattutto ai magistrati che hanno anch’essi in mano la vita, benché in modo diverso dai medici, delle persone, degli individui.
Altrettanto gravi possono essere le conseguenze di chi opera male quando si ha a che fare col bene “sicurezza”, e si va da tutte le forze dell’ordine, a vario titolo e in modi diversi, ma anche dall’ingegnere che progetta un ponte a chi si dovrebbe occupare della manutenzione stradale, fino ad arrivare all’autista di un bus che studenti o pendolari prendono ogni giorno.
E se sei vittima di un ladro d’appartamento (nel mio caso – dato che parlo sempre di esperienze personali – si trattava di un ladro in una stanza di un college universitario all’estero), dicevo, se sei vittima di un ladro e la polizia interviene tempestivamente e recupera subito buona parte del maltolto e ti rassicura, ciò ti infonde fiducia nel prossimo e nelle “autorità”, mentre se un abile truffatore on line su una pagina contraffatta di un noto sito di affitti/vendite immobiliari, ti induce ad effettuare un bonifico e poi, non solo, “il sito” non rimborsa niente ma nemmeno le autorità (la polizia postale, ad essere precisi) né “in continente” né “nell'isola”, intervengono e per giunta ti invitano a non presentar denuncia o comunque a pensarci bene perché non recupereresti i tuoi soldi (finiti su un conto britannico) e in più rischieresti di essere chiamata a comparire in un processo penale a spese a tuo completo carico… ecco che, in questo caso, una poi si sente (come si è sentita la sottoscritta) cornuta e mazziata, come si dice, e, oltre ai soldi e alla fiducia nello “Stato”, ci perde pure la serenità mentale per qualche giorno...
Poi ci sono i professionisti che influiscono proprio sulla vita lavorativa delle altre persone: si va da tutti i “datori di lavoro”, in generale, a chi si occupa dei processi di selezione e reclutamento del personale e a tutti noi che siamo “colleghi” di lavoro, appunto.
E così, se durante una procedura concorsuale, chiedi l’accesso agli atti e, non avendo ricevuto alcun riscontro, presenti ricorso via mail al Difensore civico provinciale e al Difensore civico regionale, e, non avendo ricevuto alcun tipo di risposta nemmeno da queste “autorità”, allora invii una mail all'"Indignato Speciale" per sottoporre il tuo caso da "indignata", mettendo in copia conoscenza anche i Difensori Civici e, dopo qualche giorno, (Alleluja!!!), ti viene comunicata l'evasione della tua richiesta, ecco che allora ammetti: “Che efficienza e che zelo!!! E se nei manuali di diritto si legge che "l'accesso, atteso le sue finalità di pubblico interesse, costituisce un principio generale dell'attività amministrativa ed è finalizzato alla concretizzazione del principio di trasparenza e alla piena realizzazione della partecipazione democratica al procedimento amministrativo. Più precisamente, l'accesso agli atti amministrativi costituisce un diritto di cui devono essere garantiti i livelli essenziali delle prestazioni su tutto il territorio nazionale" essendo esso "strumento di attuazione del principio costituzionale dell'imparzialità dell'azione amministrativa", ecco che le tue conoscenze universitarie e post universitarie, si rivelano fasulle nei fatti; ecco che, sicuramente, in questo caso, l'attività amministrativa è risultata tutt'altro che efficiente, trasparente ed imparziale…
E se poi ci si trova, dopo la crisi del 2008, a dover fare ricorso alla Naspi (il periodo più sfortunato, dopo la riforma Fornero), ebbene è grazie all’impegno personale dell'interessata e a quello di una funzionaria dell’Inps competente, e non tramite Caf e Patronati, che la pratica è stata evasa e la sottoscritta è riuscita ad ottenere ciò che era un suo diritto ottenere.
Ci sono poi le varie “autorità” cui ci si rivolge per una qualsiasi esigenza o per far valere un proprio diritto, più o meno impellente, più o meno grave, ed allora si sperimenta che nessuno degli uffici preposti sa cosa siano le regole e le tempistiche del “procedimento amministrativo” e quindi, ho sempre pensato, ti resta l’amaro e l’acidità, con una certa dose di rabbia inesplosa per quanto ci si sente impotenti di fronte ai poteri forti mascherati da burocrazia.
Così pensavo…
In realtà, ora sono arrivata a riflettere (l’ho sempre saputo ma me ne ero scordata), la “burocrazia”, gli “uffici”, i titoli e le cariche, sono degli schermi, sono dei veli: dietro la “burocrazia”, dietro gli “uffici”, dietro le cariche e i titoli vari, stanno (direi, “si nascondono”, spesso) delle persone, degli individui, come dicevo all’inizio.
E queste persone, questi individui dimenticano una parola fondamentale, letteralmente, una parola che sta “a fondamento” di ogni ruolo e di ogni carica che ognuno si trova a ricoprire, una parola che ci viene insegnata fin da piccoli, ancor prima di andare a scuola…
La parola magica è:
RE-SPON-SA-BI-LI-TA’.
La responsabilità è individuale, ognuno è responsabile per quello che fa o non fa. Dietro un episodio di malasanità o di malaburocrazia (per semplificare) ci sono sempre individui con nome e cognome.
Questo, ognuno dovrebbe saperlo…
Io conosco nome e cognome di chi non mi ha consentito l’accesso agli atti, così come conosco nome e cognome di chi mi ha consentito di usufruire della Naspi…
Mi chiedo come molti abbiano il coraggio di guardarsi allo specchio e mostrarsi al mondo ogni mattina!
Sardara, 14 Gennaio 2024
[1] Giovanni Comisso scrisse “Le mie stagioni”, libro che fu pubblicato nel 1951.
[2] “Una persona alla volta” di Gino Strada è stato pubblicato nel 2022.
QUANDO LE PAROLE NON BASTANO
“Chi allora,” ella continua “racconta una storia ancora più bella delle nostre? Il silenzio. E dove si legge una storia più profonda di quelle scritte sulla pagina più squisitamente stampata del più prezioso di tutti i libri? Sulla pagina bianca.”
Da "La pagina bianca", Karen Blixen.
AVVERTENZA: quanto segue è solo una prova. E’ il primo tentativo di trasmissione di messaggi informazionali, elaborati in assenza di supporti materiali neurofisiologici o d’altra sorta, convertiti in messaggi informazionali espressi in linguaggio verbale umanamente comprensibile. Speriamo che il tentativo riesca. S’intende che, trattandosi di una prova “tecnica”, è ovvio che il contenuto del messaggio è di per sé ininfluente.
Mi sono giunte le sue parole, il suo messaggio più che le parole. Il contenuto, il significato che qui, in questo mondo, giunge svincolato dalle parole, siano esse proferite verbalmente o scritte o anche solo pensate.
Riferisce Borges (l’ho conosciuto qui ed è stato lui a suggerirmi di effettuare questo tentativo) lo stupore di Sant’Agostino nel vedere Sant’Ambrogio che leggeva tacitamente, risalendo dalle parole scritte direttamente ai loro significati senza pronunciarle a voce alta come allora si usava fare. E’ a quell’ episodio che Borges fa risalire la nascita dell’“arte di leggere silenziosamente”.
Dove vivo io non occorre il linguaggio verbale per comunicare, così come accade sulla Terra. Ma non occorrono nemmeno i contenuti mentali elaborati dal cervello così come accade tra chi ritiene di poter comunicare per telepatia. Vi è oggi chi, nel vostro mondo, crede che senza il cervello, senza neuroni e sinapsi, non possano esserci menti, contenuti mentali, come intenzioni, desideri, volontà, sentimenti, sensazioni e tutto quell’universo di sogni, illusioni, emozioni, nevrosi, follie che vengono ora poste in rapporto al cervello come la digestione è posta in rapporto allo stomaco. Né più né meno. Pure questioni chimico-biologiche. Meravigliose, oscure questioni chimico-biologiche. C’è chi, tra voi, è arrivato a pensare che quello che fanno i cervelli possano farlo anche i calcolatori elettronici, e non solo. Per esempio, che un termostato possa avere “credenze”, tre per essere precisi: qui fa troppo caldo, qui fa troppo freddo, qui va proprio bene. Potrei dire che si tratta di ipotesi, per qualcuno certezze, inquietanti. Potrei, ma qui non avrebbe alcun senso. Non proviamo niente di simile all’inquietudine o alla preoccupazione o al tormento. Viviamo in una dimensione di completo “appagamento”, di “pienezza” in cui niente manca, nessuno è manchevole. Dimensione che solo approssimativamente può essere paragonata ai labili istanti di felicità che sono concessi agli umani.
Il suo messaggio non è stato lanciato in uno di questi labili istanti. Tutt’altro. Si trattava di interminabili momenti di tristezza. E’ comprensibile del resto. La morte, tanto più se in circostanze tragiche, è, per quanto paradossale possa apparire, un evento della vita che gli umani ancora stentano ad accettare. Forse perché non la comprendono. Ma anche questa umana incomprensibilità
è comprensibile. Lo è ora. Lo è qui. Anch’io ho avuto la mia esistenza terrestre e, come tante esistenze terrestri, è terminata prematuramente, come comunemente si usa dire.
Trascrivo per voi il suo messaggio:
“E’ morto (ometto il mio nome terrestre), per un colpo di pistola accidentalmente sparatogli da (ometto anche quest’altro nome terrestre) il suo migliore amico. Le asettiche, e anche contrastanti e poco veritiere, notizie di vari TG e quotidiani ... e le chiacchiere ... e le telefonate bla bla bla ... e le lacrime e i singhiozzi. Le parole, i pettegolezzi, i ricordi ... ... Bastano le parole a parlare dello strazio di un’anima, della fine della vita di un ragazzo che muore dissanguato nella casa dell’amico che se lo vede davanti, con gli occhi che dicono ... cosa? Cosa dicono gli occhi di un ragazzo che muore per un colpo di pistola sparatogli dall’amico che preme il grilletto per gioco? Gioco imprudente e mortale. E cosa resta nel cuore di un ragazzo che uccide chi era entrato nel suo cuore? E che voci restano in una casa che la Morte aveva già inesorabilmente visitato? E che resta nel cuore dei familiari di chi ha sparato? E cosa nel cuore dei familiari di chi è stato ucciso? ... Le parole non bastano. Le parole non dicono niente, soprattutto se sono le parole asettiche, imprecise, fallaci e in fondo anche bugiarde dei TG vari e del giornale. E quante altre volte le parole dei TG e dei giornali sono state asettiche, imprecise, fallaci, bugiarde? Quante volte ci hanno detto false verità, cioè menzogne?
Per chi suona la campana?
Ricopio nuovamente le parole di Meryl Streep il cui primo fidanzato, mi pare, era morto di cancro: ‘La vita è un privilegio del quale a volte ci si vergogna, e solamente se rimani a costruire qualcosa e a dare amore puoi fartelo perdonare da chi ti lascia’.
Non la tua, ma la morte degli altri devi avere come metro per valutare le tue disgrazie ... e allora per lo meno ti accorgi che le tue angosce umane-troppo-umane non devono prendere il sopravvento e che gli attimi della tua esistenza vanno vissuti e non lasciati passare e che l’uomo è ben più di una faccia o una facciata ... e che per amare non devi aspettare la morte. Parole ... Non ho altro. Ciao!”
Questo era il suo messaggio. Non era diretto a me, lo so. Era diretto a se stessa. E anche lei lo sapeva. Non avevo potuto far niente per alleviare la sua sensazione d’angoscia. Né trasmetterle parole, né contenuti mentali. Non perché ci sia assolutamente impossibile comunicare da qui col mondo terrestre, con la dimensione degli umani. Solo perché gli umani possono normalmente percepire solo parole, dette o scritte. O altri segni comunque sensorialmente captabili. Hanno cioè bisogno di un substrato materiale perché i messaggi possano essere percepiti dai loro sensi e poi trasmessi a quell’ammasso di neuroni che è il cervello. Alcuni umani ritengono di poter trasmettere i contenuti mentali senza parole, telepaticamente appunto, ma questo non accade di sovente. In ogni caso, come vi ho già detto, in questa dimensione la comunicazione non avviene in nessuno dei di questi due modi. E perciò, anche volendo, non avrei potuto trasmettere un messaggio da lei percepibile e comprensibile.
Ma il suo è arrivato fin qui. Non vi appaia strano. Qui giungono tutti i contenuti mentali dell’universo. Qui sono arrivati i desideri e gli stupori dell’uomo geneticamente più giovane sulla Terra, il primo, e qui arriveranno le paure di quello geneticamente più vecchio, l’ultimo. Qui c’è la Bibbia come Topolino, l’Odissea come Ventimila leghe sotto i mari, Cenerentola come Justine, il triangolo isoscele come il tramonto sul mare in data x nel luogo y contemplato da un bambino Z e da suo padre, sua madre e suo fratello, qui ci sono le follie concepite da Hitler come il Chiaro di luna di Beethoven, la Gioconda come i disegni dei bambini dell’asilo, Beatrice come il Gatto con gli stivali, il Discobolo come i monumenti ai caduti ... Qui ci sono anche le parole asettiche, imprecise, fallaci e in fondo anche bugiarde dei TG e dei giornali come le parole di Meryl Streep ... C’è il gusto del cioccolato fondente assaporato dalla figlia dell’operaia che vive in Via Porpora, 3 a Milano come gli orgasmi dei coniugi Rossi che vivono al N° 4 di via Verdi a Milano, ci son le nausee della Sig.ra Bianchi, coniugata Vadilonga, che tra otto mesi darà alla luce due gemelli, come ci son i solletichi e le smorfie che le cuginette Villa si scambiano a vicenda. Desideri, sogni, gioie, speranze, incubi, ansie, amori, grattacapi ... Insomma anche tutte le banalità, le quotidianità, le insensatezze che sono stati, che sono e che saranno i contatti neuronali, banali, quotidiani, insensati della totalità degli umani sono qui. E tutti questi contenuti mentali son qui non solo nella loro formulazione originaria ma anche nella forma di pensieri pensati da infinità di cervelli che l’hanno fatto. E non è detto che siano solo cervelli umani ...
Naturalmente, ciascuno di noi, di noi ex-individui umani, è partecipe di tutto questo. Lo so, solo l’idea può dar la vertigine ad un ammasso di neuroni umani normalmente funzionante. Ma forse, in questo modo, potrete avere una, sebbene imprecisa, idea di come sia la nostra dimensione. Qualcuno pensa che l’eternità, perché noi viviamo nell’eternità, sia una dimensione atemporale. Ma non è esatto dire che nell’eternità non ci sia il tempo. Ci sono tutte le dimensioni temporali concepibili: per gli umani, tutti gli ieri, gli oggi, i domani. Anche questo potrebbe dare la vertigine a un cervello di media portata, anche a uno di portata superiore alla media, anche a uno che sfrutti le sue potenzialità al cento per cento. Il che, non posso anticiparvi niente, forse un giorno lontano potrebbe anche accadere.
Sono qui, è chiaro, anche tutti i suoi pensieri, i suoi desideri, le sue angosce ... tutte le sue parole che hanno dato voce ai processi “simil-digestivi” propri del suo cervello.
Ho sempre saputo che avrebbe davvero cercato di vivere tutti gli istanti della sua vita. Della sua vita mortale. Ora non ho più bisogno di cercare di placare le sue angosce perché qui non sarà tormentata da angosce, per quanti pensieri angoscianti possano esserci, non sarà incupita da delusioni per quante esperienze deludenti possano esserci, non sarà amareggiata da insuccessi e sconfitte per quanti pensieri amari possano esserci. Ora è gia partecipe dell’immensità di cui tutti siamo partecipi qui. E ora potrà anche sapere cosa dicono gli occhi di un ragazzo che muore per un colpo di pistola sparatogli dall’amico che preme il grilletto per gioco. Saprà cosa resta nel cuore di un ragazzo che uccide chi era entrato nel suo cuore. Che voci restano in una casa che la Morte aveva già inesorabilmente visitato. Che resta nel cuore dei familiari di chi ha sparato. E cosa nel cuore dei familiari di chi è stato ucciso. E scoprirà se le parole bastano a parlare dello strazio di un’anima, della fine della vita di un ragazzo ...
Naturalmente, quasi mi dimenticavo, qui non ci sono solo contenuti mentali. Non ci sono soltanto infinità di esperienze, sensazioni, sentimenti, impressioni, credenze, ragionamenti, follie e quant’altro avviene grazie alle cellule grigie funzionanti di chiunque, sulla Terra, ne sia dotato.
C’è molto di più. C’è l’Inimmaginabile. L’Ineffabile, l’Umanamente Inafferrabile, l’Incommensurabile. E allora, capirete, le parole non bastano. Resta solo la pagina bianca. Il silenzio. E forse neanche quello basta.
Sardara, 4 Febbraio 2024
Immagine web di "La pagina bianca", R. Magritte, 1967.
P.S.
Oggi, quattro Febbraio, sarebbe stato il compleanno di babbo e domani sarà il mio. Il primo senza di lui. Da domani in poi tutti i miei compleanni saranno pervasi di malinconia e tristezza. Ho voluto (ri)proporre il mio racconto "Quando le parole non bastano" anche se, in questo mondo, abbiamo bisogno anche di parole... e, poiché da tempo ho fatto mia la frase di Anna Frank "La carta è più paziente degli uomini", io faccio ricorso alle parole scritte... su pagine bianche...
Babbo, sei sempre nei nostri pensieri!
Arrivederci a Nangijala!
“Arrivederci a Nangijala”, “See you in Nangijala”…
Così ho visto scritto a conclusione di un video su Youtube di una cover di “The sound of silence”, dedicata da Tommy Johansson a un suo amico morto giovane.
Ho scoperto Tommy Johansson, la sua voce e le sue doti di musicista solo di recente con la sua interpretazione strepitosa e non convenzionale dell'Ave Maria...
Dicevo, ho letto "See you in Nangijala" e mi sono incuriosita.
Ho cercato su Google e ho scoperto che Nangijala non è un mitico aldilà di una qualche misteriosa religione orientale ma un aldilà di un libro per ragazzi scritto dall'autrice, tra l'altro, di “Pippi Calzelunghe”, la svedese Astrid Lindgren.
Questo libro è "I fratelli Cuordileone", molto conosciuto in Svezia (Paese anche di Tommy Johansson) meno in Italia forse.
Comunque, l'ho acquistato e l'ho letto.
E' un piccolo gioiello che quasi sicuramente i ragazzi e le ragazze di oggi non saprebbero apprezzare.
Ma io sono una ragazza di altri tempi e l'ho trovato davvero accattivante e piacevole.
Comincia così:
"Ora vi racconterò di mio fratello. Di mio fratello, Jonatan Cuordileone, proprio lui. Sembra una leggenda, un po' una storia di fantasmi, eppure è tutto vero, anche se soltanto io e Jonatan lo sappiamo, e nessun altro.
All'inizio Jonatan non si chiamava Cuordileone ma Leone di cognome, esattamente come la mamma e me: Jonatan Leone, era il suo nome. Io sono Karl Leone e la mamma Sigrid Leone. E nostro padre era Axel Leone, ma se ne andò per mare quando io avevo solo due anni. Da quel momento non ne abbiamo più saputo nulla.
Vi volevo dunque raccontare come mio fratello Jonatan diventò Jonatan Cuordileone e di tutte le altre strane cose che seguirono.
Jonatan sapeva che sarei morto presto. Credo lo sapessero tutti, tranne me".
Chi racconta è Briciola, questo è il nome che Jonatan dava al suo fratellino, "un ragazzetto piuttosto brutto, sciocco e pauroso, con le gambe storte e tutto il resto", così si vedeva lui.
Briciola, malato e allettato, un giorno sente una delle signore per cui sua mamma cuciva, che dice che lui sarebbe morto presto.
E lui, triste e impaurito, la sera ne parla con Jonatan.
Briciola è sconvolto per questa cosa terribile, che a nemmeno dieci anni si debba morire, ma Jonatan afferma: "Vedi, Briciola, io non credo che sia così terribile" "Io credo che sia bellissimo"
"Bellissimo?" ripete Briciola "E' bellissimo stare sottoterra ed essere morti?"
"Oh" dice Jonatan "Soltanto la tua buccia rimane là, tu invece voli via, in un posto completamente diverso"
"Dove" domanda Briciola, incredulo.
"A Nangijala"
"A Nangijala: la buttò là, così, come se fosse qualcosa che tutti conoscevano benissimo"... Allora Briciola chiede: "Nangijala... e dov'è?". Jonatan dice che non lo sa bene neanche lui ma si trova al di là delle stelle: "Là è ancora tutto come al tempo delle leggende e delle saghe"... e aggiunge "Sai, Briciola" "Sarà ben diverso che starsene qui a letto malato, a tossire, senza poter mai giocare"... E racconta a Briciola di come sarebbe diventato persino bello a Nangijala...
Ma cosa accade?
Qualcosa che Briciola non riesce nemmeno a raccontare. E così affida il suo racconto alle cronache di un giornale...
Jonatan, bello e coraggioso come un principe, per salvare il suo fratellino da un incendio, si lancia con lui da una finestra... e così Jonatan vola a Nangijala prima di Briciola. Briciola è tristissimo finchè una colomba bianca gli porta un messaggio, e così viene a sapere che Jonatan lo aspetta e che lui presto lo avrebbe raggiunto.
Decide di scrivere un biglietto per la sua mamma:
"Non piangere, mamma! Arrivederci a Nangijala".
“E accadde”…
Sì, senza sapere come, Briciola si ritrova con le gambe dritte, sano e in forma, proprio a Nangjiala, nella Valle dei ciliegi, per la precisione, e lì ritrova suo fratello Jonatan e insieme vivono nella Casa dei Cavalieri. L’aria è purissima, la terra cosparsa di fiori di ciliegio, ciliegi e lillà in fiore, alte montagne e, a valle, torrenti, ruscelli e cascate. E per di più, oltre alla casa, c’è una scuderia e un cavallo tutto per Briciola che scoprirà anche di saper cavalcare.
Briciola sperimenterà poi che a Nangijala non tutto è così bello e pacifico, ci sono sospetti e traditori, c’è un oppressore crudele, Tengil, ci sono draghi e mostri e un paese da liberare, la Valle delle Rose.
Affronterà varie entusiasmanti e paurose avventure con Jonatan e avrà così modo di mostrare il suo coraggio e il suo amore incondizionato per il fratello fino al salto finale verso…
Al lettore il piacere di scoprirlo.
Una lettura solo apparentemente fanciullesca. Comunque dilettevole e che ben potrebbe essere una distrazione non superficiale rispetto a cellulari e tablet che tanto impegnano i ragazzi, e non solo, di oggi.
Buona lettura a chi vorrà!
Sardara, 1 Marzo 2023
Per chi volesse ecco il link anche all'Ave Maria interpretata da Tommy Johansson:www.youtube.com/watch?v=OsLMfc004Io htthttwww.youtube.com/watch?v=OsLMfc004Iops://www.youtube.com/watch?v=OsLMfc004Iops://www.youtube.com/watch?v=OsLMfc004Io
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“A du podi connosci in su Sceu!!!”
Ho preso una caramellina di menta di quelle che tu lasciavi sciogliere in bocca la notte prima che ci augurassimo la buonanotte. E mi viene da piangere al pensiero che talora potevo essere stata impaziente di andare a letto mentre tu succhiavi una, due, tre caramelline... "È la prima!" "È la seconda!" "È la terza!".
Sembra passato un secolo da quelle notti... Che tristezza! Che infinita tristezza! Spero che non sia così per te, che in cielo non ci sia spazio e tempo per gli stati d'animo tristi o malinconici e che tu ci abbia perdonato per le nostre piccole/grandi mancanze.
Che vuoto hai lasciato! Che grande, incolmabile vuoto! Mamma ancora non riesce a stare nel tinello, nella stanza che era divenuta la camera per te e per lei; per te, il letto con le sponde per persone malate e impossibilitate a muoversi che consentiva una mobilità fittizia, sollevandosi, abbassandosi, reclinandosi, e per mamma, un lettino singolo con un materasso troppo stretto da cui rischiava di cadere girandosi la notte.
Mamma non ce la fa proprio. È come se volesse cancellare gli anni di tormento e passione vissuti là dentro. Io invece entro sempre in quella stanza per mandare baci al cielo, con la mano, sperando che ti arrivino e penso, immagino che tu sorrida dicendomi "Daniela, non fare la sciocca!", come dicevi sempre ogni volta che ti baciavo le mani: "Daniela, non fare la sciocca!".
La piccola …, la penultima delle tue nipotine, era entrata con me nel tinello, qualche tempo fa, e aveva esclamato: “Questa è la stanza di nonno Gigi malato. Qui c’era la culla di nonno Gigi” e poi aveva aggiunto: “Ti ricordi nonno Gigi?!”…
Come si dice, beata innocenza!
Naturale. Mi ricordo di te, tutti ci ricordiamo di te!
Ognuno di noi a modo suo.
E quanto vorrei riabbracciarti, babbo! Quanto lo vorrei!
Nei pomeriggi del sabato e della domenica, io, che sedevo nella poltrona nera (regalo di noi figli per un Natale di quando avevi cominciato ad alzarti con difficoltà), in uno di quei pomeriggi, quando tu e mamma riuscivate ad avere un po' di tregua e riposo (momenti così rari), prima che arrivasse l'ora della medicina e poi della merenda e del cremino, pensavo che li avrei ricordati, quei pomeriggi, pensavo davvero, con convinzione che li avrei ricordati e cercavo di farne tesoro: "Sono con mio babbo e mia mamma! Sono con mio babbo e mia mamma e mi ricorderò!" e invece, se non avessi un video di meno di un minuto di uno di quei pomeriggi, h.15,30 segnava la sveglia, la TV accesa, voi due assopiti, se non ci fosse quel brevissimo video, a ricordo e memoria, non ricorderei niente o quasi.
Tutto si è offuscato, forse per sopravvivere al dolore, al dolore che il tempo fa sbiadire. Ed è un dolore anche questo sbiadirsi, questo scemare...
Per poterti sopravvivere, per andare avanti, per l'impotenza di fronte all'Ineluttabile...
Non ho potuto alleviare i tuoi dolori, non ho potuto prenderne un po’… Nessuno di noi ha potuto. Soffrivi tu! Soffrivi tu!
Il nostro, il nostro era un soffrire per non poterti aiutare, per la nostra impotenza.
Ricordo quello che a lungo ho considerato il momento in cui mi sono sentita più inutile di sempre ed è stato quando tu, preda dei tuoi dolori, durante il ricovero per l’emorragia subaracnoidea, mi avevi detto sofferente: “Babbo sta male. Aiuta babbo, Daniela! Aiuta babbo!” ma io non sapevo come fare, cosa avrei potuto fare, se non spostare un cuscino o tenerti una mano, senza riuscire peraltro a farti patire di meno.
E tu eri lì, su un letto di ospedale, con una emorragia in testa eppure perfettamente cosciente e pregavi tua figlia di aiutarti, la figlia cui avevi dato la vita più volte…
Un leone, babbo mio! Sei stato un leone!
E mamma?
Mamma, una leonessa! Una leonessa!
Tu sai quanto ha combattuto per te, con te…
Per averti, perché fossi suo marito. Era andata contro tutto e contro tutti.
Eravate diventati famosi in paese in quell’inizio del Sessantotto.
Alcune bambine nate in quel periodo, mi ha detto, vennero chiamate come lei.
E tanto ha sofferto con te, per te, negli ultimi anni, negli anni della prova, negli anni della sofferenza…
“Finché morte non ci separi”, così vi eravate vicendevolmente promessi.
“Finché morte non ci separi”, così avete ripetuto nella celebrazione delle Nozze d’oro in chiesa.
E così è stato.
Fin-chè-Mor-te-non-ci se-pa-ri.
Dicevate che sareste morti assieme. Era quello il vostro estremo desiderio: morire assieme ed essere sepolti assieme.
Ma così non è stato. No.
Al momento di scrivere il necrologio, mamma aveva chiarito che non voleva si scrivesse “È mancato all’affetto dei suoi cari” perché tu non sei mancato al nostro affetto, il nostro affetto è intatto, c’è e ci sarà. Ha voluto scrivere che ci hai lasciato…
Purtroppo è così. Ci hai lasciato. Non sei più in questo Mondo e l’altro, l’altro Mondo, non lo conosciamo.
Io spero che ci sia, prima di tutto.
Per i Cristiani, l’altro Mondo c’è e Gesù è risuscitato per renderne testimonianza, ma, per coloro la cui fede cristiana vacilla, tentenna, è debole…?!
Io mi definisco una infedele fiduciosa.
Mamma è inconsolabile. Ovvio.
Si tormenta per non essere stata abbastanza gentile e paziente con te. Sei sempre nei suoi pensieri, giorno e notte.
A me aveva detto che è diverso perdere il proprio padre e perdere il proprio marito.
Posso immaginarlo.
Io non conosco né conoscerò la differenza.
Avevo letto tempo fa che le persone si possono dividere tra “quelli che hanno ancora i loro genitori” e “quelli che hanno perso i loro genitori”.
Temevo, ho sempre temuto, il passaggio inevitabile dall’una all’altra categoria.
Anche se si sa che, di norma, i genitori muoiono prima dei loro figli.
Avevo letto anche che il cantante Sting è stato incapace di lavorare per dieci anni dopo la morte dei propri genitori. E pure la mia amica giapponese C. mi ha confidato qualche mese fa di aver pianto di nascosto per dieci anni dopo la scomparsa improvvisa del padre, per un incidente stradale.
Per i comuni mortali in Occidente, la vita deve riprendere per forza ad andare avanti “come se”, dopo qualche giorno di lutto.
E così, di fatto, accade. Si torna a lavorare, si torna a prendere bus e treno, si va a fare la spesa, si parla, si ascolta musica, si scambiano messaggi: per amore o per forza, la vita continua, “come se” dico io, come se andasse tutto bene, come se tutto fosse a posto, come se… E magari, come faceva C., ogni tanto vorresti un angolo riparato per lasciar scivolare qualche lacrima sul viso.
Il dolore lo porti dentro anche quando ridi con gli altri.
Ed io condivido facilmente le risate, non il pianto.
Dopo tanto, tanto tempo, sono riuscita a leggere dei libri. Negli ultimi anni, gli anni dell’aggravarsi del tuo male, dei tuoi mali, trovavo tutto insulso, superficiale e vuoto. Ho iniziato tanti libri senza terminarne uno, o quasi.
Anche C. mi ha scritto che pure lei aveva cercato sollievo nella lettura.
Il primo libro che mi aveva dato un po’ di tregua è stato “Il dolce domani” di Banana Yoshimoto, coinvolgente e ammaliante.
Avevo cercato tra i libri che possiedo e avevo acquistato, e acquisto, nuovi libri per proporli a mamma e, anche se tutto le sembra stupido e insensato, pure lei ha ripreso a leggere e ogni tanto cerca sollievo nelle storie altre di altri.
Credo le sia piaciuto e si sia lasciata trascinare da “La donna di Gilles”, il primo dei due soli romanzi scritti dalla autrice belga Madeleine Bourdouxhe. Risale agli anni Trenta ma lo ha trovato quanto mai attuale.
Io l’avevo letto non so quando e non ricordavo niente e così l’ho riletto. E ci sono rimasta male per la conclusione tristissima.
La conclusione che mamma aveva previsto sin dal principio del libro. Io no.
Uno dei nostri vicini, dopo avermi chiesto notizie di mamma, aveva esclamato: “Mica le è mancato un pulcino!”.
Tu lo sai.
Le è mancato l’Amore-della-sua-Vita, o, come dicono gli anglofoni, le è mancato il suo Compagno-d’-Anima, Soul Mate.
Tu e mamma siete stati e siete Compagni d’Anima.
Dall’infanzia.
***
26 Marzo 2023
Io ero stata intrattabile e scontrosa tutto il giorno. Sentivo freddo, freddo dentro, freddo nelle ossa, anche se tutti sentivano caldo.
Non voglio scrivere delle ultime terribili crisi… Terribili e strazianti.
Lascio nella penna la cronaca di quei momenti.
Così terribili e così strazianti al punto che io mi sono trovata a comprendere le ragioni di chi sceglie l’eutanasia.
Tanto dolore!
Troppo in-giu-sti-fi-ca-to, i-nu-ti-le, in-sen-sa-to DOLORE!
“Meaninglessness of meaninglessness” recita l’Ecclesiaste in inglese “Insensatezza delle insensatezze”.
“Vanità delle vanità”, la traduzione più nota in italiano.
Babbo, carissimo babbo mio, spero davvero, che tu ci abbia perdonato per la nostra inettitudine di esseri umani, limitati e impotenti.
Quanto all’ESSERE che tutto vede e tutto dispone, io non capivo e non capisco. E continuo a non capire.
Ancora non mi sembra vero che tu non sia qui. Non mi sembra vero.
Voglio ricordare il tuo sguardo pieno di fiducia, tutta la fiducia del mondo.
I tuoi bellissimi occhi così dolci, così espressivi, così confidenti!
Perdonaci babbo. Perdonami.
Voglio ricordare le tue affermazioni dell’ultimo periodo, senza filtri ma piene di verità e sentimento. Le porto con me, in me.
La tua mancanza continuerà ad essere un tormento. Magari nascosto, dentro, in profondità. Magari servono davvero dieci anni… Magari nemmeno dieci anni bastano. Conosco persone che hanno perso il senno per la perdita del proprio padre…
Non si può tornare indietro. Magari si potesse… Tornare indietro…
Nonostante tutto, non ero e non eravamo pronti.
Avevamo fatto scorta dei tuoi gelati, dei tuoi detergenti, di tutto ciò che serviva quotidianamente in casa per la tua cura.
Ogni tanto penso/spero di poterti raggiungere presto, chissà.
Chissà se c’è davvero un “dolce domani”, come nel libro di Banana Yoshimoto… o se davvero esiste “La casa dei sogni”, come nel racconto di Agatha Christie:
“Era davanti alla porta della casa. La mirabile quiete era assoluta. Infilò la chiave nella serratura e la girò.
Aspettò soltanto un attimo, per misurare fino in fondo la perfetta, ineffabile, appagante pienezza della gioia.
Poi… passò oltre la soglia”.
Sarà così? Passare oltre la soglia?
A titolo di curiosità, zia T. ci aveva fatto notare una coincidenza, anzi due.
Anche l’attore Ivano Marescotti è nato il 4 Febbraio 1946 e mancato il 26 Marzo 2023…
Proprio come te. Non vorrà dire niente, immagino. Solo una curiosa coincidenza, appunto.
Un abbraccio forte forte , carissimo babbo mio, un abbraccio di cuore!
Ciao
Daniela
*****
Quanto sopra è parte di una raccolta di pensieri e ricordi scritti mesi fa.
In questi giorni mi trovo a rivivere in background quelli che sono stati gli ultimi giorni insieme a te in questo mondo, mentre la vita scorre tra alti e bassi.
“Io lavoro e penso a te.
Torno a casa e penso a te
…”
Già! È proprio così. Da un anno. E così continuerà ad essere.
Il mio medico di base di Pavia, che è un fervente cattolico, aveva usato l’espressione “Nascita al Cielo” per definire quella che chiamiamo “Morte”.
Due facce della stessa medaglia, forse. Quello che è lasciare questo Mondo è allo stesso tempo passare all’altro Mondo, una morte e una rinascita, spero.
Anche se ancora fa male pensare a quanto soffrivi un anno fa, voglio sperare che tu sia in pace e che possiamo ritrovarci quando sarà il momento.
Questo pomeriggio c’è stata la Messa di ricordo di un anno fa. Oggi, di sabato, perché potesse esserci anche chi lavora gli altri giorni.
La Messa è stata nella nostra piccola chiesa di Sant’Antonio, piccola, raccolta, intima. La nostra chiesa, anche se ha cessato di essere “parrocchia”…
I canti della inossidabile Voce di Sant’Antonio che, anche se accusa il passare del tempo, è riuscita a commuovermi soprattutto quando ha intonato “Dolce sentire”. E poi c’è stata la lettura a più voci del “Passio”. Ed è stato bello! Meglio di una possibile predica più o meno noiosa o più o meno balzana. È stato bello ricordare la Passione di Gesù, in questi giorni in cui rivivo la tua.
È stato bello e forse mi mancava… Da tanto tempo non lo sentivo e ho notato piccole note diverse o che non c’erano quando ero bambina o ragazza (in realtà non ricordo da quando non sentivo Il Passio a Sant’Antonio e Il Passio in generale).
E mi ha commosso vedere mamma farsi coraggio…
A me è mancato quello di stare in piedi, dopo la Messa, a ricevere i saluti dei presenti…
“A du podi connosci in su Sceu!!!” è l’augurio che qui si usa fare in sardo alla Messa di ricordo della morte di un proprio caro: “Che lo possiamo conoscere in Cielo!!!”…
Così mi auguro, babbo. Che pure io possa conoscerti anche in quella dimensione che chiamiamo “Cielo”!!!
Arrivederci, carissimo babbo mio! Arrivederci!
Sardara, 23 Marzo 2024
“A du podi connosci in su Sceu!!!”
Ho preso una caramellina di menta di quelle che tu lasciavi sciogliere in bocca la notte prima che ci augurassimo la buonanotte. E mi viene da piangere al pensiero che talora potevo essere stata impaziente di andare a letto mentre tu succhiavi una, due, tre caramelline... "È la prima!" "È la seconda!" "È la terza!".
Sembra passato un secolo da quelle notti... Che tristezza! Che infinita tristezza! Spero che non sia così per te, che in cielo non ci sia spazio e tempo per gli stati d'animo tristi o malinconici e che tu ci abbia perdonato per le nostre piccole/grandi mancanze.
Che vuoto hai lasciato! Che grande, incolmabile vuoto! Mamma ancora non riesce a stare nel tinello, nella stanza che era divenuta la camera per te e per lei; per te, il letto con le sponde per persone malate e impossibilitate a muoversi che consentiva una mobilità fittizia, sollevandosi, abbassandosi, reclinandosi, e per mamma, un lettino singolo con un materasso troppo stretto da cui rischiava di cadere girandosi la notte.
Mamma non ce la fa proprio. È come se volesse cancellare gli anni di tormento e passione vissuti là dentro. Io invece entro sempre in quella stanza per mandare baci al cielo, con la mano, sperando che ti arrivino e penso, immagino che tu sorrida dicendomi "Daniela, non fare la sciocca!", come dicevi sempre ogni volta che ti baciavo le mani: "Daniela, non fare la sciocca!".
La piccola …, la penultima delle tue nipotine, era entrata con me nel tinello, qualche tempo fa, e aveva esclamato: “Questa è la stanza di nonno Gigi malato. Qui c’era la culla di nonno Gigi” e poi aveva aggiunto: “Ti ricordi nonno Gigi?!”…
Come si dice, beata innocenza!
Naturale. Mi ricordo di te, tutti ci ricordiamo di te!
Ognuno di noi a modo suo.
E quanto vorrei riabbracciarti, babbo! Quanto lo vorrei!
Nei pomeriggi del sabato e della domenica, io, che sedevo nella poltrona nera (regalo di noi figli per un Natale di quando avevi cominciato ad alzarti con difficoltà), in uno di quei pomeriggi, quando tu e mamma riuscivate ad avere un po' di tregua e riposo (momenti così rari), prima che arrivasse l'ora della medicina e poi della merenda e del cremino, pensavo che li avrei ricordati, quei pomeriggi, pensavo davvero, con convinzione che li avrei ricordati e cercavo di farne tesoro: "Sono con mio babbo e mia mamma! Sono con mio babbo e mia mamma e mi ricorderò!" e invece, se non avessi un video di meno di un minuto di uno di quei pomeriggi, h.15,30 segnava la sveglia, la TV accesa, voi due assopiti, se non ci fosse quel brevissimo video, a ricordo e memoria, non ricorderei niente o quasi.
Tutto si è offuscato, forse per sopravvivere al dolore, al dolore che il tempo fa sbiadire. Ed è un dolore anche questo sbiadirsi, questo scemare...
Per poterti sopravvivere, per andare avanti, per l'impotenza di fronte all'Ineluttabile...
Non ho potuto alleviare i tuoi dolori, non ho potuto prenderne un po’… Nessuno di noi ha potuto. Soffrivi tu! Soffrivi tu!
Il nostro, il nostro era un soffrire per non poterti aiutare, per la nostra impotenza.
Ricordo quello che a lungo ho considerato il momento in cui mi sono sentita più inutile di sempre ed è stato quando tu, preda dei tuoi dolori, durante il ricovero per l’emorragia subaracnoidea, mi avevi detto sofferente: “Babbo sta male. Aiuta babbo, Daniela! Aiuta babbo!” ma io non sapevo come fare, cosa avrei potuto fare, se non spostare un cuscino o tenerti una mano, senza riuscire peraltro a farti patire di meno.
E tu eri lì, su un letto di ospedale, con una emorragia in testa eppure perfettamente cosciente e pregavi tua figlia di aiutarti, la figlia cui avevi dato la vita più volte…
Un leone, babbo mio! Sei stato un leone!
E mamma?
Mamma, una leonessa! Una leonessa!
Tu sai quanto ha combattuto per te, con te…
Per averti, perché fossi suo marito. Era andata contro tutto e contro tutti.
Eravate diventati famosi in paese in quell’inizio del Sessantotto.
Alcune bambine nate in quel periodo, mi ha detto, vennero chiamate come lei.
E tanto ha sofferto con te, per te, negli ultimi anni, negli anni della prova, negli anni della sofferenza…
“Finché morte non ci separi”, così vi eravate vicendevolmente promessi.
“Finché morte non ci separi”, così avete ripetuto nella celebrazione delle Nozze d’oro in chiesa.
E così è stato.
Fin-chè-Mor-te-non-ci se-pa-ri.
Dicevate che sareste morti assieme. Era quello il vostro estremo desiderio: morire assieme ed essere sepolti assieme.
Ma così non è stato. No.
Al momento di scrivere il necrologio, mamma aveva chiarito che non voleva si scrivesse “È mancato all’affetto dei suoi cari” perché tu non sei mancato al nostro affetto, il nostro affetto è intatto, c’è e ci sarà. Ha voluto scrivere che ci hai lasciato…
Purtroppo è così. Ci hai lasciato. Non sei più in questo Mondo e l’altro, l’altro Mondo, non lo conosciamo.
Io spero che ci sia, prima di tutto.
Per i Cristiani, l’altro Mondo c’è e Gesù è risuscitato per renderne testimonianza, ma, per coloro la cui fede cristiana vacilla, tentenna, è debole…?!
Io mi definisco una infedele fiduciosa.
Mamma è inconsolabile. Ovvio.
Si tormenta per non essere stata abbastanza gentile e paziente con te. Sei sempre nei suoi pensieri, giorno e notte.
A me aveva detto che è diverso perdere il proprio padre e perdere il proprio marito.
Posso immaginarlo.
Io non conosco né conoscerò la differenza.
Avevo letto tempo fa che le persone si possono dividere tra “quelli che hanno ancora i loro genitori” e “quelli che hanno perso i loro genitori”.
Temevo, ho sempre temuto, il passaggio inevitabile dall’una all’altra categoria.
Anche se si sa che, di norma, i genitori muoiono prima dei loro figli.
Avevo letto anche che il cantante Sting è stato incapace di lavorare per dieci anni dopo la morte dei propri genitori. E pure la mia amica giapponese C. mi ha confidato qualche mese fa di aver pianto di nascosto per dieci anni dopo la scomparsa improvvisa del padre, per un incidente stradale.
Per i comuni mortali in Occidente, la vita deve riprendere per forza ad andare avanti “come se”, dopo qualche giorno di lutto.
E così, di fatto, accade. Si torna a lavorare, si torna a prendere bus e treno, si va a fare la spesa, si parla, si ascolta musica, si scambiano messaggi: per amore o per forza, la vita continua, “come se” dico io, come se andasse tutto bene, come se tutto fosse a posto, come se… E magari, come faceva C., ogni tanto vorresti un angolo riparato per lasciar scivolare qualche lacrima sul viso.
Il dolore lo porti dentro anche quando ridi con gli altri.
Ed io condivido facilmente le risate, non il pianto.
Dopo tanto, tanto tempo, sono riuscita a leggere dei libri. Negli ultimi anni, gli anni dell’aggravarsi del tuo male, dei tuoi mali, trovavo tutto insulso, superficiale e vuoto. Ho iniziato tanti libri senza terminarne uno, o quasi.
Anche C. mi ha scritto che pure lei aveva cercato sollievo nella lettura.
Il primo libro che mi aveva dato un po’ di tregua è stato “Il dolce domani” di Banana Yoshimoto, coinvolgente e ammaliante.
Avevo cercato tra i libri che possiedo e avevo acquistato, e acquisto, nuovi libri per proporli a mamma e, anche se tutto le sembra stupido e insensato, pure lei ha ripreso a leggere e ogni tanto cerca sollievo nelle storie altre di altri.
Credo le sia piaciuto e si sia lasciata trascinare da “La donna di Gilles”, il primo dei due soli romanzi scritti dalla autrice belga Madeleine Bourdouxhe. Risale agli anni Trenta ma lo ha trovato quanto mai attuale.
Io l’avevo letto non so quando e non ricordavo niente e così l’ho riletto. E ci sono rimasta male per la conclusione tristissima.
La conclusione che mamma aveva previsto sin dal principio del libro. Io no.
Uno dei nostri vicini, dopo avermi chiesto notizie di mamma, aveva esclamato: “Mica le è mancato un pulcino!”.
Tu lo sai.
Le è mancato l’Amore-della-sua-Vita, o, come dicono gli anglofoni, le è mancato il suo Compagno-d’-Anima, Soul Mate.
Tu e mamma siete stati e siete Compagni d’Anima.
Dall’infanzia.
***
26 Marzo 2023
Io ero stata intrattabile e scontrosa tutto il giorno. Sentivo freddo, freddo dentro, freddo nelle ossa, anche se tutti sentivano caldo.
Non voglio scrivere delle ultime terribili crisi… Terribili e strazianti.
Lascio nella penna la cronaca di quei momenti.
Così terribili e così strazianti al punto che io mi sono trovata a comprendere le ragioni di chi sceglie l’eutanasia.
Tanto dolore!
Troppo in-giu-sti-fi-ca-to, i-nu-ti-le, in-sen-sa-to DOLORE!
“Meaninglessness of meaninglessness” recita l’Ecclesiaste in inglese “Insensatezza delle insensatezze”.
“Vanità delle vanità”, la traduzione più nota in italiano.
Babbo, carissimo babbo mio, spero davvero, che tu ci abbia perdonato per la nostra inettitudine di esseri umani, limitati e impotenti.
Quanto all’ESSERE che tutto vede e tutto dispone, io non capivo e non capisco. E continuo a non capire.
Ancora non mi sembra vero che tu non sia qui. Non mi sembra vero.
Voglio ricordare il tuo sguardo pieno di fiducia, tutta la fiducia del mondo.
I tuoi bellissimi occhi così dolci, così espressivi, così confidenti!
Perdonaci babbo. Perdonami.
Voglio ricordare le tue affermazioni dell’ultimo periodo, senza filtri ma piene di verità e sentimento. Le porto con me, in me.
La tua mancanza continuerà ad essere un tormento. Magari nascosto, dentro, in profondità. Magari servono davvero dieci anni… Magari nemmeno dieci anni bastano. Conosco persone che hanno perso il senno per la perdita del proprio padre…
Non si può tornare indietro. Magari si potesse… Tornare indietro…
Nonostante tutto, non ero e non eravamo pronti.
Avevamo fatto scorta dei tuoi gelati, dei tuoi detergenti, di tutto ciò che serviva quotidianamente in casa per la tua cura.
Ogni tanto penso/spero di poterti raggiungere presto, chissà.
Chissà se c’è davvero un “dolce domani”, come nel libro di Banana Yoshimoto… o se davvero esiste “La casa dei sogni”, come nel racconto di Agatha Christie:
“Era davanti alla porta della casa. La mirabile quiete era assoluta. Infilò la chiave nella serratura e la girò.
Aspettò soltanto un attimo, per misurare fino in fondo la perfetta, ineffabile, appagante pienezza della gioia.
Poi… passò oltre la soglia”.
Sarà così? Passare oltre la soglia?
A titolo di curiosità, zia T. ci aveva fatto notare una coincidenza, anzi due.
Anche l’attore Ivano Marescotti è nato il 4 Febbraio 1946 e mancato il 26 Marzo 2023…
Proprio come te. Non vorrà dire niente, immagino. Solo una curiosa coincidenza, appunto.
Un abbraccio forte forte , carissimo babbo mio, un abbraccio di cuore!
Ciao
Daniela
*****
Quanto sopra è parte di una raccolta di pensieri e ricordi scritti mesi fa.
In questi giorni mi trovo a rivivere in background quelli che sono stati gli ultimi giorni insieme a te in questo mondo, mentre la vita scorre tra alti e bassi.
“Io lavoro e penso a te.
Torno a casa e penso a te
…”
Già! È proprio così. Da un anno. E così continuerà ad essere.
Il mio medico di base di Pavia, che è un fervente cattolico, aveva usato l’espressione “Nascita al Cielo” per definire quella che chiamiamo “Morte”.
Due facce della stessa medaglia, forse. Quello che è lasciare questo Mondo è allo stesso tempo passare all’altro Mondo, una morte e una rinascita, spero.
Anche se ancora fa male pensare a quanto soffrivi un anno fa, voglio sperare che tu sia in pace e che possiamo ritrovarci quando sarà il momento.
Questo pomeriggio c’è stata la Messa di ricordo di un anno fa. Oggi, di sabato, perché potesse esserci anche chi lavora gli altri giorni.
La Messa è stata nella nostra piccola chiesa di Sant’Antonio, piccola, raccolta, intima. La nostra chiesa, anche se ha cessato di essere “parrocchia”…
I canti della inossidabile Voce di Sant’Antonio che, anche se accusa il passare del tempo, è riuscita a commuovermi soprattutto quando ha intonato “Dolce sentire”. E poi c’è stata la lettura a più voci del “Passio”. Ed è stato bello! Meglio di una possibile predica più o meno noiosa o più o meno balzana. È stato bello ricordare la Passione di Gesù, in questi giorni in cui rivivo la tua.
È stato bello e forse mi mancava… Da tanto tempo non lo sentivo e ho notato piccole note diverse o che non c’erano quando ero bambina o ragazza (in realtà non ricordo da quando non sentivo Il Passio a Sant’Antonio e Il Passio in generale).
E mi ha commosso vedere mamma farsi coraggio…
A me è mancato quello di stare in piedi, dopo la Messa, a ricevere i saluti dei presenti…
“A du podi connosci in su Sceu!!!” è l’augurio che qui si usa fare in sardo alla Messa di ricordo della morte di un proprio caro: “Che lo possiamo conoscere in Cielo!!!”…
Così mi auguro, babbo. Che pure io possa conoscerti anche in quella dimensione che chiamiamo “Cielo”!!!
Arrivederci, carissimo babbo mio! Arrivederci!
Sardara, 23 Marzo 2024