"Fumo" - Jarabe de Palo
Ho scoperto proprio ieri su Youtube, dopo il rientro alle mie abitudini del fine settimana, la versione in italiano di “Humo” degli Jarabe de Palo.
Si intitola “Fumo”. È di marzo 2017, uscita con “50 Palos”, album per festeggiare il cinquantesimo compleanno dell’artista e il ventesimo anniversario della nascita del suo gruppo musicale, e Pau Donés canta insieme a Francesco Silvestre, noto cantante dei Modà.
Pau Donés è mancato qualche mese fa e quando cantava “Fumo” era già a conoscenza del male che l’aveva colpito.
Dichiarò che aveva scritto tante canzoni d’amore e aveva voluto scrivere una canzone d’amore per la vita.
Il testo di “Fumo” è toccante, struggente, complice la melodia certo, e le voci dei due cantanti/autori.
Il male fisico inesorabile fiacca, indebolisce, stanca, è inevitabile.
Canta Pau “E ho perso la voglia di credere a tutto”, cosa che accade non solo al malato ma anche a chi si prende cura di lui, a chi vede il male rubare istanti alla vita. Anche se “Spes, ultima dea”, anche la speranza si indebolisce, diventa fumo appunto.
Ma è soprattutto il verso “e ora che non mi rivedo in quello che sono e in quello che ero”, che mi ha colpito maggiormente perché, quando ho visto le ultime immagini di Pau, pur essendo a conoscenza del suo male, ho faticato a riconoscere in quel volto, in quel fisico quello che era il Pau che cantava, solare come non mai, “Come un pittore” per esempio.
Già, il male fisico scava i volti, riduce la muscolatura e quindi il corpo diventa ombra di quello che era, giorno dopo giorno.
Ecco che Pau cantava quindi l’unicità di ogni istante, cantava che la vita non è sogno, che ogni sospiro è un soffio di vita rubato alla morte, che il tempo è fumo, che il tempo è incerto, “aspettando che l’anima vola” e accompagnava il canto e la musica con la mimica straordinaria del volto e del corpo.
Invitava a non piangere, a regalargli sorrisi finché era in vita: “oggi io sono con te, soltanto con te”.
Impossibile restare insensibili. È così triste vedere sfiorire una persona! È così sfibrante sentirsi inutili e non poter far nulla per fermare il male, per tornare indietro a quando il male non c’era. È così snervante combattere contro l’ottusità, la meschinità, l’indolenza di certa burocrazia e di certi operatori del settore sanitario, un muro di gomma contro cui si sbatte e si rimbalza ancora e ancora. Ed è stremante trovare medici incompetenti e privi di umanità, troppo impegnati a trovare la cura per i mali per potersi occupare di curare le persone malate... “persone”, “malate”.
Eppure un Pau Donés irriconoscibile ci ha lasciato con il sorriso, con una canzone solare, di ringraziamento e di speranza, “Eso que tú me das”.
Per chi volesse soffermarsi, ecco i link a “Humo”, “Fumo” e a “Eso que tú me das”.
www.youtube.com/watch?v=1uslYH1Czhc
www.youtube.com/watch?v=1uslYH1Czhc
www.youtube.com/watch?v=hE6CsyWv8Zs
Pavia, 6 settembre 2020
Sono nati gli anatroccoli!
Non si distinguono bene nella foto ma ci sono! Sono arrivati anche gli anatroccoli!
La Vita segue il suo corso, la Vita…
Ebbene è giunta la Pasqua del 2020: la ricorderemo soprattutto perché, mentre negli anni passati, di solito, a Pasqua e Pasquetta pioveva e c’era maltempo, quest’anno no! Ci sarà un sole splendido in tutto il Paese!
La Natura scherza e ride degli affanni degli uomini.
Ci sono tanti però che non hanno di certo voglia di scherzare e non ridono affatto, lo sappiamo.
Ma per un momento pensiamo alla Vita e auguriamoci che per tutti, presto o tardi, sia una Buona Rinascita!
Come è il titolo di questa pagina, invito all’ascolto di due inni cristiani in lingua inglese, due “canzoni di chiesa” diremmo. Sono inni celeberrimi che sono stati interpretati da tanti artisti. Il primo è “Amazing Grace” nell’interpretazione di LeAnn Rimes e il secondo “How Great Thou Art” (che avevo sentito per la prima volta in una chiesa a Edimburgo un secolo fa) nell’intepretazione di Carrie Underwood e degli Home Free, gruppo vocale che seguo da qualche anno.
Buon ascolto a chi vorrà seguire i link, con i migliori auguri!
Pavia, 11 aprile 2020
www.youtube.com/watch?v=8dmMm6upB5c&list=RD8dmMm6upB5c&index=1
www.youtube.com/watch?v=xyLWjawgzlw&list=RD8dmMm6upB5c&index=2
www.youtube.com/watch?v=tXQpDDcrN-w&list=RD8dmMm6upB5c&index=4
“NON MI AVETE FATTO NIENTE” – ERMAL META E FABRIZIO MORO
Non voglio osannare due cantanti e autori che non conosco particolarmente ma mi fa piacere scrivere due righe sulla canzone che hanno interpretato Ermal Meta e Fabrizio Moro, con la quale hanno vinto l’ultima edizione del Festival di San Remo.
C’è chi ha tacciato le canzoni del Festival di superficialità e chi invece ha accusato Ermal e Fabrizio di essere dei “paraculi” per aver portato al Festival una canzone che cavalca l’onda delle notizie che tutti i giorni i telegiornali e la rete rimandano in tema di terrorismo e clima di paura da esso originante.
Ci sono state poi le accuse di plagio e il bailamme di contorno che, secondo alcuni, invece di nuocere avrebbe giovato alla canzone incriminata.
Fatto sta che “Non mi avete fatto niente” è la canzone vincitrice del Festival, la canzone, a mio avviso, interpretata in modo, sì lo dico, eccellente dai due cantautori.
Non sono un’esperta di musica ma posso dire cosa mi piace e cosa non mi piace ascoltare.
Il testo della canzone, che denota un uso della lingua italiana appropriato e non banale, è per lo più in rima baciata senza per questo dar vita a una cantilena melensa e stucchevole. Al contrario, è musicale già in sé e ciò è evidente nella versione “recitata” da Simone Cristicchi. Se poi si aggiunge la musica coinvolgente e il suono delle voci degli interpreti che creano melodia, si ottiene un concentrato di musica e parole profondo, toccante, e… orecchiabile quasi quasi come una canzonetta.
Le prime righe riassumono in poche parole fatti di cui quasi quotidianamente sentiamo parlare con lunghi e più o meno noiosi discorsi, parole dette, parole scritte da giornalisti, capi di stato, esperti a vario titolo e gente della strada.
Comincia Ermal:
“A Il Cairo non lo sanno che ore sono adesso
Il sole sulla Rambla oggi non è lo stesso”
Prosegue con versi che evocano in modo sintetico ma efficace le stragi in Francia, Londra e poi Nizza.
Subentra quindi Fabrizio che dipinge il nostro pianeta come un “corpo enorme” ferito nei suoi “organi dall’Asia all’Inghilterra”, “madri senza figli”, “figli senza padri” e “minuti di silenzio spezzati da una voce/Non mi avete fatto niente”
Riprende Ermal
“Non mi avete fatto niente
Non mi avete tolto niente
Questa è la mia vita che va avanti
Oltre tutto, oltre la gente
Non mi avete fatto niente
Non avete avuto niente
Perché tutto va oltre le vostre inutili guerre”
Ecco, queste parole, sulla cui origine siamo stati informati, nate da chi aveva subito una terribile perdita, mi hanno fatto pensare, tra l’altro, a cosa si diceva, e forse ancora si dice, quando si cadeva a terra o si subiva un qualche, più o meno, piccolo incidente…: “Non mi sono fatto niente!” “Fatto niente!”, un po’ per rassicurare chi poteva preoccuparsi per noi, un po’ per non buscarle in aggiunta alla caduta o al piccolo incidente…
Si accusa il colpo ma si va avanti, si cade ma ci si rialza. Questo lo si fa tutti i giorni. Questo capita a tutti quando la vita ci pone di fronte a fatti e accadimenti in varia misura dolorosi e che tutti, chi più chi meno, dobbiamo affrontare e auspicabilmente superare e lasciarci, se possibile, alle spalle.
Nel testo della canzone si fa riferimento al dolore e alle perdite causati da “inutili guerre” che non sono “nostre”, non ci appartengono, sono create da altri, dai potenti, da chi comanda, da chi vuole imporsi solo con la forza e la violenza.
È poi nuovamente il turno di Moro che in quattro versi concentra un inno alla tolleranza in tema di fede e religione:
“C’è chi si fa la croce, chi prega sui tappeti
Le chiese e le moschee, gli imam e tutti i preti
Ingressi separati della stessa casa
Miliardi di persone che sperano in qualcosa”
Riprende Meta:
“Braccia senza mani, facce senza nomi
Scambiamoci la pelle, in fondo siamo umani
Perché la nostra vita non è un punto di vista
E non esiste bomba pacifista”.
I primi due versi evocano gli orrori delle guerre per cui tutti, essendo “in fondo” “umani” (già!), dovremmo soffrire quasi come se ci scambiassimo la pelle.
E poi ecco altri due versi evocativi di mari di parole: “Perché la nostra vita non è un punto di vista” e poi “E non esiste bomba pacifista”.
Si chiama “prospettivismo”, l’“-ismo” di turno che il primo verso mi fa venire in mente: è un “-ismo” che mi piace in genere, l’idea che le cose cambino a seconda dello sguardo di chi le vede, il paesaggio non è lo stesso per tutti ma dipende da come ci si affaccia alla finestra o al balcone. Alcuni vanno più in là: le “cose” non hanno un’esistenza oggettiva, in sé, ma esistono solo in quanto e come sono percepite da chi le osserva. Ciò implica una buona dose di relativismo in materia etica soprattutto. Ebbene, Ermal che canta “Perché la nostra vita non è un punto di vista”, smonta in due secondi ogni pretesa relativista quando si tratta della “nostra vita”, la vita umana, la vita in genere. La vita è un valore in sé, indipendentemente da chi sia l’osservatore, indipendentemente da come la si guardi, indipendentemente dalla prospettiva adottata. Da questo assunto, discendono poi tutta una serie di conseguenze in materia etica che, al di là, delle parole più o meno difficili, ci toccano tutti: si pensi all’aborto, alla pena di morte fino alla maternità surrogata e agli esperimenti sugli embrioni.
L’altro verso contiene un ossimoro, due parole discordanti messe accanto, “bomba” e “pacifista”. Ecco l’altro “-ismo” che evocano: “pacifismo”. “-Ismo” che tanti si fregiano di seguire, osservare e promuovere sventolando bandiere più o meno sincere o ipocrite. Esiste una guerra “giusta”? Una guerra “santa”? La violenza può trovare giustificazione nei rapporti tra gli Stati, tra le genti?
Ognuno si dà le sue risposte, ciò che sente in coscienza. A me i versi della canzone piacciono!
Riprende poi il ritornello e quindi il canto assieme dei due interpreti con le seguenti parole di speranza e luce:
“Cadranno i grattacieli, le metropolitane
I muri di contrasto alzati per il pane
Ma ogni contro terrore che ostacola il cammino
Il mondo si rialza col sorriso di un bambino
Col sorriso di un bambino
(Col sorriso di un bambino)”
Ed ecco quindi il passo della canzone che mi piace di più: il vocalizzo (non so se sia il termine appropriato) di Ermal.
Il canto riprende col ritornello “Non mi avete fatto niente/Non avete avuto niente… ” e si conclude con versi, a mio avviso, delicati e malinconici:
“Sono consapevole che tutto più non torna
La felicità volava
Come vola via una bolla”.
Sì, lo sappiamo, si va avanti, non è proprio “chi muore giace…” ma quasi… Si continua, si cambia pagina, eppure niente torna indietro e la felicità si rivela evanescente e fragile come una bolla, “volava” infatti, al passato. Sì, “non mi avete fatto niente” ma… qualcosa in fondo in fondo, forse sì!
Meta e Moro: belli e bravi!
Sardara, 25 febbraio 2018
Non voglio osannare due cantanti e autori che non conosco particolarmente ma mi fa piacere scrivere due righe sulla canzone che hanno interpretato Ermal Meta e Fabrizio Moro, con la quale hanno vinto l’ultima edizione del Festival di San Remo.
C’è chi ha tacciato le canzoni del Festival di superficialità e chi invece ha accusato Ermal e Fabrizio di essere dei “paraculi” per aver portato al Festival una canzone che cavalca l’onda delle notizie che tutti i giorni i telegiornali e la rete rimandano in tema di terrorismo e clima di paura da esso originante.
Ci sono state poi le accuse di plagio e il bailamme di contorno che, secondo alcuni, invece di nuocere avrebbe giovato alla canzone incriminata.
Fatto sta che “Non mi avete fatto niente” è la canzone vincitrice del Festival, la canzone, a mio avviso, interpretata in modo, sì lo dico, eccellente dai due cantautori.
Non sono un’esperta di musica ma posso dire cosa mi piace e cosa non mi piace ascoltare.
Il testo della canzone, che denota un uso della lingua italiana appropriato e non banale, è per lo più in rima baciata senza per questo dar vita a una cantilena melensa e stucchevole. Al contrario, è musicale già in sé e ciò è evidente nella versione “recitata” da Simone Cristicchi. Se poi si aggiunge la musica coinvolgente e il suono delle voci degli interpreti che creano melodia, si ottiene un concentrato di musica e parole profondo, toccante, e… orecchiabile quasi quasi come una canzonetta.
Le prime righe riassumono in poche parole fatti di cui quasi quotidianamente sentiamo parlare con lunghi e più o meno noiosi discorsi, parole dette, parole scritte da giornalisti, capi di stato, esperti a vario titolo e gente della strada.
Comincia Ermal:
“A Il Cairo non lo sanno che ore sono adesso
Il sole sulla Rambla oggi non è lo stesso”
Prosegue con versi che evocano in modo sintetico ma efficace le stragi in Francia, Londra e poi Nizza.
Subentra quindi Fabrizio che dipinge il nostro pianeta come un “corpo enorme” ferito nei suoi “organi dall’Asia all’Inghilterra”, “madri senza figli”, “figli senza padri” e “minuti di silenzio spezzati da una voce/Non mi avete fatto niente”
Riprende Ermal
“Non mi avete fatto niente
Non mi avete tolto niente
Questa è la mia vita che va avanti
Oltre tutto, oltre la gente
Non mi avete fatto niente
Non avete avuto niente
Perché tutto va oltre le vostre inutili guerre”
Ecco, queste parole, sulla cui origine siamo stati informati, nate da chi aveva subito una terribile perdita, mi hanno fatto pensare, tra l’altro, a cosa si diceva, e forse ancora si dice, quando si cadeva a terra o si subiva un qualche, più o meno, piccolo incidente…: “Non mi sono fatto niente!” “Fatto niente!”, un po’ per rassicurare chi poteva preoccuparsi per noi, un po’ per non buscarle in aggiunta alla caduta o al piccolo incidente…
Si accusa il colpo ma si va avanti, si cade ma ci si rialza. Questo lo si fa tutti i giorni. Questo capita a tutti quando la vita ci pone di fronte a fatti e accadimenti in varia misura dolorosi e che tutti, chi più chi meno, dobbiamo affrontare e auspicabilmente superare e lasciarci, se possibile, alle spalle.
Nel testo della canzone si fa riferimento al dolore e alle perdite causati da “inutili guerre” che non sono “nostre”, non ci appartengono, sono create da altri, dai potenti, da chi comanda, da chi vuole imporsi solo con la forza e la violenza.
È poi nuovamente il turno di Moro che in quattro versi concentra un inno alla tolleranza in tema di fede e religione:
“C’è chi si fa la croce, chi prega sui tappeti
Le chiese e le moschee, gli imam e tutti i preti
Ingressi separati della stessa casa
Miliardi di persone che sperano in qualcosa”
Riprende Meta:
“Braccia senza mani, facce senza nomi
Scambiamoci la pelle, in fondo siamo umani
Perché la nostra vita non è un punto di vista
E non esiste bomba pacifista”.
I primi due versi evocano gli orrori delle guerre per cui tutti, essendo “in fondo” “umani” (già!), dovremmo soffrire quasi come se ci scambiassimo la pelle.
E poi ecco altri due versi evocativi di mari di parole: “Perché la nostra vita non è un punto di vista” e poi “E non esiste bomba pacifista”.
Si chiama “prospettivismo”, l’“-ismo” di turno che il primo verso mi fa venire in mente: è un “-ismo” che mi piace in genere, l’idea che le cose cambino a seconda dello sguardo di chi le vede, il paesaggio non è lo stesso per tutti ma dipende da come ci si affaccia alla finestra o al balcone. Alcuni vanno più in là: le “cose” non hanno un’esistenza oggettiva, in sé, ma esistono solo in quanto e come sono percepite da chi le osserva. Ciò implica una buona dose di relativismo in materia etica soprattutto. Ebbene, Ermal che canta “Perché la nostra vita non è un punto di vista”, smonta in due secondi ogni pretesa relativista quando si tratta della “nostra vita”, la vita umana, la vita in genere. La vita è un valore in sé, indipendentemente da chi sia l’osservatore, indipendentemente da come la si guardi, indipendentemente dalla prospettiva adottata. Da questo assunto, discendono poi tutta una serie di conseguenze in materia etica che, al di là, delle parole più o meno difficili, ci toccano tutti: si pensi all’aborto, alla pena di morte fino alla maternità surrogata e agli esperimenti sugli embrioni.
L’altro verso contiene un ossimoro, due parole discordanti messe accanto, “bomba” e “pacifista”. Ecco l’altro “-ismo” che evocano: “pacifismo”. “-Ismo” che tanti si fregiano di seguire, osservare e promuovere sventolando bandiere più o meno sincere o ipocrite. Esiste una guerra “giusta”? Una guerra “santa”? La violenza può trovare giustificazione nei rapporti tra gli Stati, tra le genti?
Ognuno si dà le sue risposte, ciò che sente in coscienza. A me i versi della canzone piacciono!
Riprende poi il ritornello e quindi il canto assieme dei due interpreti con le seguenti parole di speranza e luce:
“Cadranno i grattacieli, le metropolitane
I muri di contrasto alzati per il pane
Ma ogni contro terrore che ostacola il cammino
Il mondo si rialza col sorriso di un bambino
Col sorriso di un bambino
(Col sorriso di un bambino)”
Ed ecco quindi il passo della canzone che mi piace di più: il vocalizzo (non so se sia il termine appropriato) di Ermal.
Il canto riprende col ritornello “Non mi avete fatto niente/Non avete avuto niente… ” e si conclude con versi, a mio avviso, delicati e malinconici:
“Sono consapevole che tutto più non torna
La felicità volava
Come vola via una bolla”.
Sì, lo sappiamo, si va avanti, non è proprio “chi muore giace…” ma quasi… Si continua, si cambia pagina, eppure niente torna indietro e la felicità si rivela evanescente e fragile come una bolla, “volava” infatti, al passato. Sì, “non mi avete fatto niente” ma… qualcosa in fondo in fondo, forse sì!
Meta e Moro: belli e bravi!
Sardara, 25 febbraio 2018
Caramelle – Pierdavide Carone e Dear Jack - Segnalazione
“Ciao, sono Marco e dieci anni è la mia età,
Ho i capelli biondi e vado in quarta A,
Tranne matematica a me piace studiare,
Mio papà e mia mamma hanno un negozio alimentare.
Ho una sorella cinque anni più di me
Ed un fratellino che sta per nascere,
E non vedo l’ora che arrivi in fretta maggio,
Che se farò il bravo potrò tenerlo in braccio”
Con questi versi ritmati e orecchiabili, cantati da Pierdavide Carone comincia l’ultima canzone di questo giovane musicista che ho visto, qualche anno fa, come artista in erba alla prima edizione da me seguita di “Amici”.
E' passato solo qualche giorno da quando ho sentito la canzone per la prima volta e già ne leggo il testo musicandolo nella mia testa. E’ sicuramente un testo di facile ascolto senza che sia cantilenante ed è un testo che “prende”, che ti entra dentro.
La scena dipinta da Pierdavide è un autoritratto di un bambino di dieci anni, Marco, che parla in prima persona con parole solo apparentemente semplici e presenta una scena familiare e di vita quotidiana.
La canzone prosegue poi con la voce di Lorenzo Cantarini dei Dear Jack: altri versi, stesso ritmo, stessa musica, altra scena della vita quotidiana di Marco:
“Il mio migliore amico si chiama Giosuè,
Pensa che anche in classe siede vicino a me,
Poi alla campanella voliamo come piume
E finché fa buio tiriamo sassi al fiume,
Ieri pomeriggio però lui si è ammalato
E perciò alla fine da solo sono andato”
Ma ecco che la quotidianità spensierata di Marco viene interrotta da un incontro insolito e inaspettato. E con un crescendo di musica e tonalità viene data voce allo “strano sconosciuto” che, con fare confidenziale, conduce il bambino nel bosco, luogo che evoca incontri poco piacevoli come nelle favole dell’infanzia.
“E mentre giocavo uno strano sconosciuto
Prima mi ha guardato e poi si è avvicinato,
E con fare misterioso ma gentile
Si è seduto accanto a me sopra il pontile,
E prima che io prendessi un sasso da tirare,
Lo strano sconosciuto ha cominciato a dire:
“Dammi la mano bambino e vieni nel bosco”
Nei versi successivi “No che non sono un estraneo, io ti conosco,
Vengo dal tuo stesso posto” il pensiero viene sospinto verso il mondo mentale che può essere quello dello strano sconosciuto, mondo morboso, perverso e pervertito, a volte ma non sempre, etichettabile come “malato” se non fosse che ciò sembra suggerire una scusante per chi da quel mondo mentale passa dal pensiero all’azione, come nella canzone “Caramelle”: azione morbosa, perversa, pervertita e, solo a volte, malata appunto.
E questa azione, la violenza fisica e mentale sul bambino, viene evocata coi versi successivi e in particolare con le parole “mentre prendi la mia pelle” che rimanda a “ciò che non si può dire” “ciò che è meglio tacere”, come direbbe qualcuno, o meglio, ciò che si può dire senza essere volgari perché la scena è dipinta efficacemente con quelle poche parole che suggeriscono, alludono, evocano, rimandano con la mente.
“Insieme nel mio silenzio il ricordo di cose più belle,
Il colore delle stelle, mentre prendi la mia pelle,
In cambio un sorriso e due caramelle”.
Poi il ritmo e le rime riprendono, dando voce a Marica:
“Ciao, sono Marica e ho fatto quindici anni,
Sono già un’adulta e ho fatto molti sbagli.
Primo, mettermi con Luca invece che con Dario.
Sì, forse è più bello ma è troppo autoritario”
E così per dispetto sono uscita con le amiche,
E dopo una per una a casa siam tornate,
Che palle, casa mia è sempre l’ultima,
In fondo a quella via buia e torbida.
E come non bastasse è anche scoppiato il temporale,
Ho fatto anche lo shampoo stamattina, porco cane,
Perché da qualche tempo il mondo è un’agonia,
Qualsiasi cosa faccia è sempre colpa mia”
Anche Marica parla dipingendo scene di vita quotidiana e dando voce ai suoi pensieri di giovane adolescente. Quotidianità e pensieri che, anche stavolta, vengono stravolti dall’incontro con un “signore” che le offre un passaggio e la conduce nel bosco.
“Fortuna che un signore mi ha offerto un passaggio,
Non l’ho mai visto prima però mi sembra saggio,
La vita non è un film, cosa vuoi che mi succeda?
E mentre penso questo all’improvviso cambia strada.
“Dammi la mano bambina e vieni nel bosco,
No che non sono un estraneo, io ti conosco, Vengo dal tuo stesso posto”,
Nel mio silenzio il ricordo di cose più belle,
Il colore delle stelle, mentre prendi la mia pelle,
In cambio un sorriso e due caramelle. Due caramelle”.
E poi le voci degli interpreti diventano le voci dei bambini, di Marco e Marica, dell’innocenza violata, del dolore, del corpo e del cuore, dolore che toglie il fiato, che toglie il respiro ma non la voglia di vivere magari a costo di tenersi tutto dentro, senza raccontare niente.
E si alternano e cantano assieme Carone e Cantarini:
Ti prego, fa’ in fretta ciò che devi fare, Ti prego,
fallo in fretta senza farmi male, Ti giuro, non avrò niente da raccontare,
Però fa’ in fretta così torno a respirare,
Ti prego, fa’ in fretta ciò che devi fare, Ti prego,
fallo in fretta senza farmi male, Ti giuro, non avrò niente da raccontare,
Però fa’ in fretta così torno a respirare.
“Dammi la mano bambino e vieni nel bosco,
No che non sono un estraneo, io ti conosco, Vengo dal tuo stesso posto”,
Nel mio silenzio il ricordo di cose più belle, Il colore delle stelle,
mentre prendi la mia pelle, In cambio un sorriso e due caramelle,
“Dammi la mano bambina e vieni nel bosco, No che non sono un estraneo,
io ti conosco. Vengo dal tuo stesso posto”
Nel mio silenzio il ricordo di cose più belle.
Il colore delle stelle, mentre prendi la mia pelle,
In cambio un sorriso e due caramelle.
Ti prego, fa’ in fretta ciò che devi fare,
Ti prego, fallo in fretta senza farmi male,
Ti giuro, non avrò niente da raccontare,
Però fa’ in fretta così torno a respirare.
Passando dai toni alti ai sussurri, i due interpreti dipingono con le parole e la musica ciò che spesso non si riesce a tradurre in discorso, e ciò senza cadere nella retorica e nella volgarità chiassosa e morbosa.
All’inizio di quest’anno che sta per terminare, mi son ritrovata a scrivere sulla canzone risultata vincitrice al Festival di Sanremo perché mi era piaciuta e mi aveva colpito e ora, sentendo “Caramelle” dopo aver cliccato sul link di Pierdavide che seguo su Facebook, mi ritrovo a scrivere di questa canzone che al prossimo Festival non arriverà.
Ho sentito la canzone e letto il post dell’autore, che rimanda a varie forme di violenza cui tutti, in misura e modo diverso, siamo più o meno soggetti, nei più disparati contesti sociali, prima di apprendere dell’esclusione della canzone da Sanremo.
Come ho già avuto modo di scrivere, non sono un’esperta in musica ma posso dire ciò che mi piace e ciò che non mi piace. E la canzone di Pierdavide mi è piaciuta subito e colpisce già al primo ascolto, come detto sopra.
Non ho nemmeno le competenze e le conoscenze per cogliere le “politiche” e le scelte di chi decide di selezionare le canzoni per la gara del Festival e, ovviamente, non sono a conoscenza degli altri brani in gara, ma ritengo che “Caramelle” sia una bella canzone, sia per la musica che per il testo e per gli spunti di riflessione cui dà vita senza la pedanteria dei discorsi di tanti esperti in tema.
Sanremo sarebbe stata una buona occasione per proporre la canzone all’ascolto ma, pazienza, Pierdavide Carone e i Dear Jack avranno modo di diffonderla ugualmente raccogliendo i frutti del loro lavoro e del loro talento.
In bocca al lupo agli interpreti! Per aspera ad astra!
E buon ascolto a chi vorrà seguire il link in calce!
Sardara, 27 dicembre 2018
www.youtube.com/watch?v=-gOpLIPM3eM
“Ciao, sono Marco e dieci anni è la mia età,
Ho i capelli biondi e vado in quarta A,
Tranne matematica a me piace studiare,
Mio papà e mia mamma hanno un negozio alimentare.
Ho una sorella cinque anni più di me
Ed un fratellino che sta per nascere,
E non vedo l’ora che arrivi in fretta maggio,
Che se farò il bravo potrò tenerlo in braccio”
Con questi versi ritmati e orecchiabili, cantati da Pierdavide Carone comincia l’ultima canzone di questo giovane musicista che ho visto, qualche anno fa, come artista in erba alla prima edizione da me seguita di “Amici”.
E' passato solo qualche giorno da quando ho sentito la canzone per la prima volta e già ne leggo il testo musicandolo nella mia testa. E’ sicuramente un testo di facile ascolto senza che sia cantilenante ed è un testo che “prende”, che ti entra dentro.
La scena dipinta da Pierdavide è un autoritratto di un bambino di dieci anni, Marco, che parla in prima persona con parole solo apparentemente semplici e presenta una scena familiare e di vita quotidiana.
La canzone prosegue poi con la voce di Lorenzo Cantarini dei Dear Jack: altri versi, stesso ritmo, stessa musica, altra scena della vita quotidiana di Marco:
“Il mio migliore amico si chiama Giosuè,
Pensa che anche in classe siede vicino a me,
Poi alla campanella voliamo come piume
E finché fa buio tiriamo sassi al fiume,
Ieri pomeriggio però lui si è ammalato
E perciò alla fine da solo sono andato”
Ma ecco che la quotidianità spensierata di Marco viene interrotta da un incontro insolito e inaspettato. E con un crescendo di musica e tonalità viene data voce allo “strano sconosciuto” che, con fare confidenziale, conduce il bambino nel bosco, luogo che evoca incontri poco piacevoli come nelle favole dell’infanzia.
“E mentre giocavo uno strano sconosciuto
Prima mi ha guardato e poi si è avvicinato,
E con fare misterioso ma gentile
Si è seduto accanto a me sopra il pontile,
E prima che io prendessi un sasso da tirare,
Lo strano sconosciuto ha cominciato a dire:
“Dammi la mano bambino e vieni nel bosco”
Nei versi successivi “No che non sono un estraneo, io ti conosco,
Vengo dal tuo stesso posto” il pensiero viene sospinto verso il mondo mentale che può essere quello dello strano sconosciuto, mondo morboso, perverso e pervertito, a volte ma non sempre, etichettabile come “malato” se non fosse che ciò sembra suggerire una scusante per chi da quel mondo mentale passa dal pensiero all’azione, come nella canzone “Caramelle”: azione morbosa, perversa, pervertita e, solo a volte, malata appunto.
E questa azione, la violenza fisica e mentale sul bambino, viene evocata coi versi successivi e in particolare con le parole “mentre prendi la mia pelle” che rimanda a “ciò che non si può dire” “ciò che è meglio tacere”, come direbbe qualcuno, o meglio, ciò che si può dire senza essere volgari perché la scena è dipinta efficacemente con quelle poche parole che suggeriscono, alludono, evocano, rimandano con la mente.
“Insieme nel mio silenzio il ricordo di cose più belle,
Il colore delle stelle, mentre prendi la mia pelle,
In cambio un sorriso e due caramelle”.
Poi il ritmo e le rime riprendono, dando voce a Marica:
“Ciao, sono Marica e ho fatto quindici anni,
Sono già un’adulta e ho fatto molti sbagli.
Primo, mettermi con Luca invece che con Dario.
Sì, forse è più bello ma è troppo autoritario”
E così per dispetto sono uscita con le amiche,
E dopo una per una a casa siam tornate,
Che palle, casa mia è sempre l’ultima,
In fondo a quella via buia e torbida.
E come non bastasse è anche scoppiato il temporale,
Ho fatto anche lo shampoo stamattina, porco cane,
Perché da qualche tempo il mondo è un’agonia,
Qualsiasi cosa faccia è sempre colpa mia”
Anche Marica parla dipingendo scene di vita quotidiana e dando voce ai suoi pensieri di giovane adolescente. Quotidianità e pensieri che, anche stavolta, vengono stravolti dall’incontro con un “signore” che le offre un passaggio e la conduce nel bosco.
“Fortuna che un signore mi ha offerto un passaggio,
Non l’ho mai visto prima però mi sembra saggio,
La vita non è un film, cosa vuoi che mi succeda?
E mentre penso questo all’improvviso cambia strada.
“Dammi la mano bambina e vieni nel bosco,
No che non sono un estraneo, io ti conosco, Vengo dal tuo stesso posto”,
Nel mio silenzio il ricordo di cose più belle,
Il colore delle stelle, mentre prendi la mia pelle,
In cambio un sorriso e due caramelle. Due caramelle”.
E poi le voci degli interpreti diventano le voci dei bambini, di Marco e Marica, dell’innocenza violata, del dolore, del corpo e del cuore, dolore che toglie il fiato, che toglie il respiro ma non la voglia di vivere magari a costo di tenersi tutto dentro, senza raccontare niente.
E si alternano e cantano assieme Carone e Cantarini:
Ti prego, fa’ in fretta ciò che devi fare, Ti prego,
fallo in fretta senza farmi male, Ti giuro, non avrò niente da raccontare,
Però fa’ in fretta così torno a respirare,
Ti prego, fa’ in fretta ciò che devi fare, Ti prego,
fallo in fretta senza farmi male, Ti giuro, non avrò niente da raccontare,
Però fa’ in fretta così torno a respirare.
“Dammi la mano bambino e vieni nel bosco,
No che non sono un estraneo, io ti conosco, Vengo dal tuo stesso posto”,
Nel mio silenzio il ricordo di cose più belle, Il colore delle stelle,
mentre prendi la mia pelle, In cambio un sorriso e due caramelle,
“Dammi la mano bambina e vieni nel bosco, No che non sono un estraneo,
io ti conosco. Vengo dal tuo stesso posto”
Nel mio silenzio il ricordo di cose più belle.
Il colore delle stelle, mentre prendi la mia pelle,
In cambio un sorriso e due caramelle.
Ti prego, fa’ in fretta ciò che devi fare,
Ti prego, fallo in fretta senza farmi male,
Ti giuro, non avrò niente da raccontare,
Però fa’ in fretta così torno a respirare.
Passando dai toni alti ai sussurri, i due interpreti dipingono con le parole e la musica ciò che spesso non si riesce a tradurre in discorso, e ciò senza cadere nella retorica e nella volgarità chiassosa e morbosa.
All’inizio di quest’anno che sta per terminare, mi son ritrovata a scrivere sulla canzone risultata vincitrice al Festival di Sanremo perché mi era piaciuta e mi aveva colpito e ora, sentendo “Caramelle” dopo aver cliccato sul link di Pierdavide che seguo su Facebook, mi ritrovo a scrivere di questa canzone che al prossimo Festival non arriverà.
Ho sentito la canzone e letto il post dell’autore, che rimanda a varie forme di violenza cui tutti, in misura e modo diverso, siamo più o meno soggetti, nei più disparati contesti sociali, prima di apprendere dell’esclusione della canzone da Sanremo.
Come ho già avuto modo di scrivere, non sono un’esperta in musica ma posso dire ciò che mi piace e ciò che non mi piace. E la canzone di Pierdavide mi è piaciuta subito e colpisce già al primo ascolto, come detto sopra.
Non ho nemmeno le competenze e le conoscenze per cogliere le “politiche” e le scelte di chi decide di selezionare le canzoni per la gara del Festival e, ovviamente, non sono a conoscenza degli altri brani in gara, ma ritengo che “Caramelle” sia una bella canzone, sia per la musica che per il testo e per gli spunti di riflessione cui dà vita senza la pedanteria dei discorsi di tanti esperti in tema.
Sanremo sarebbe stata una buona occasione per proporre la canzone all’ascolto ma, pazienza, Pierdavide Carone e i Dear Jack avranno modo di diffonderla ugualmente raccogliendo i frutti del loro lavoro e del loro talento.
In bocca al lupo agli interpreti! Per aspera ad astra!
E buon ascolto a chi vorrà seguire il link in calce!
Sardara, 27 dicembre 2018
www.youtube.com/watch?v=-gOpLIPM3eM
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