Giobbe
Una riflessione
“Solo una domanda
Se non ascolti
le mie preghiere
Dio
le mie imprecazioni
ti toccano?”
Pensavo di essere irriverente e blasfema coi versi della breve poesia pubblicata nella mia raccolta “Nell’attesa” nel 2006...
E invece...
Invece era una domanda antica, propria di un essere umano di fronte all’Insondabile.
Già! Ci si interroga sempre quando le avversità si presentano nella vita di ognuno di noi e dei nostri cari.
Interrogarsi sulla fonte dei nostri mali, chiedersi il perché è proprio del fedele e dello scettico, perfino dell’ateo, credo.
Io non sono atea ma attraversata, sin da ragazza, dai dubbi sull’acquiescenza passiva ai dogmi inculcatici da bambini e così mi chiedevo – mi autocito ancora –
“E
come
di una candela spenta
ondeggiante e debole
il fumo
giungeranno
a Dio
le invocazioni
di un’infedele
fiduciosa
al punto di pensare
di non aver bisogno
di implorare?”
Di recente mi sono ritrovata, e mi ritrovo ancora, ad alternare imprecazioni e preghiere, a chiedermi “Perché?” “Non basta mai?” “Ancora tanto male su una persona?!” “Ma, allora, Dio, sei crudele?!?!” e poi “Dio, aiutalo!” “E liberaci dal male” “Fa’ che si rimetta!” “Che superi la notte!” “Che superi il giorno!” “Un’altra notte!” “Un altro giorno!”... e così, inutilmente, a vuoto, sofferenza dopo sofferenza, tormento dopo tormento, col tempo scandito dall’orario delle medicine, tante medicine, per un male, un male ancora, e un altro e un altro ancora, mali gravi, gravissimi, terribili.
E ho ripensato a Giobbe e al suo Libro...
Certo, un altro Giobbe, Giobbe Covatta, l’aveva buttata sul ridere, con la storia del figlio prediletto colpito da tutte le possibili avversità, ma, quando tanta sofferenza si abbatte su una persona a te cara, carissima, non si ha voglia di ridere, proprio no.
La storia di Giobbe è a tutti nota ma ho voluto rileggerla in una traduzione recente.
Mal comune non fa mezzo gaudio... ma ci si rende conto che non c’è nulla di nuovo sotto il sole, per dirla con le parole di Qoèlet, libro che trovo bellissimo.
Giobbe, il giusto, viene messo alla prova e colpito dapprima nei suoi beni materiali, poi nei suoi affetti e infine nel fisico, supplizio dopo supplizio, logorio dopo logorio. Viene lasciato in vita però. Lui e sua moglie, e proprio la moglie gli chiede di rinnegare Dio, il Dio che così duramente lo tormentava, ma Giobbe le risponde: “Forse che dobbiamo accettare solo il bene da Dio e non accettarne anche il male?”.
Tanti pensatori, scrittori, filosofi, ermeneuti, esperti a vario titolo, religiosi e laici si sono interrogati sul Libro di Giobbe e l’hanno studiato e commentato, ma ci si può avvicinare al testo anche senza sovrastrutture estranee, da lettore sprovvisto di particolari conoscenze a vario livello e, ciononostante, comprendere Giobbe, i suoi interrogativi, i suoi affanni, soffrire per lui, soffrire con lui e, senza timore di blasfemia, affermare: “Sei diventato crudele con me / con la Tua mano possente mi avversi!... Perché speravo nel bene e fui raggiunto dal male, / attendevo la luce – e fu buio. / Ribollono senza tregua i miei visceri, / mi affrontano giorni di miseria. / Me ne vado cupo, privato del sole, / pubblicamente mi levo e alzo il mio grido dolente; / son diventato un fratello degli sciacalli, / compagno delle civette. / La pelle che ho addosso è annerita, / le mie ossa son denudate dall’avvizzimento. / La mia arpa si è votata al lutto, /la mia cetra al suono del pianto.” ...
Certo chi soffre si trova a comprendere e condividere ma riesce a trovare conforto?
"Cosa ho fatto io?!" si interroga e, sopraffatto, non si capacita, anche senza conoscere Giobbe e la Bibbia.
Sì, il cielo dispensa bene e male. Se è vero che non cade foglia che Dio non voglia, che Dio tutto vede e tutto dispone, allora anche il male sulle sue creature viene da Lui. Chi non crede parla di destino, cattiva sorte, per forza, ma chi crede o si trova nel dubbio non può non chiedersi se Dio sia un dio crudele.
Anche Giobbe si interrogava. Tutto il male che gli era piovuto addosso, gli era piovuto addosso col consenso del Creatore. Non è crudele Dio quindi?
Chi crede si abbandona alla Fede e accetta il bene e il male che viene dal Cielo.
Io non trovo risposte, so solo che non c’è giustizia retributiva in questa vita e che tanto male, tanta sofferenza, tanto dolore che colpiscono i “giusti” non hanno spiegazione e giustificazione accettabile.
Pavia, 14 settembre 2019
Una riflessione
“Solo una domanda
Se non ascolti
le mie preghiere
Dio
le mie imprecazioni
ti toccano?”
Pensavo di essere irriverente e blasfema coi versi della breve poesia pubblicata nella mia raccolta “Nell’attesa” nel 2006...
E invece...
Invece era una domanda antica, propria di un essere umano di fronte all’Insondabile.
Già! Ci si interroga sempre quando le avversità si presentano nella vita di ognuno di noi e dei nostri cari.
Interrogarsi sulla fonte dei nostri mali, chiedersi il perché è proprio del fedele e dello scettico, perfino dell’ateo, credo.
Io non sono atea ma attraversata, sin da ragazza, dai dubbi sull’acquiescenza passiva ai dogmi inculcatici da bambini e così mi chiedevo – mi autocito ancora –
“E
come
di una candela spenta
ondeggiante e debole
il fumo
giungeranno
a Dio
le invocazioni
di un’infedele
fiduciosa
al punto di pensare
di non aver bisogno
di implorare?”
Di recente mi sono ritrovata, e mi ritrovo ancora, ad alternare imprecazioni e preghiere, a chiedermi “Perché?” “Non basta mai?” “Ancora tanto male su una persona?!” “Ma, allora, Dio, sei crudele?!?!” e poi “Dio, aiutalo!” “E liberaci dal male” “Fa’ che si rimetta!” “Che superi la notte!” “Che superi il giorno!” “Un’altra notte!” “Un altro giorno!”... e così, inutilmente, a vuoto, sofferenza dopo sofferenza, tormento dopo tormento, col tempo scandito dall’orario delle medicine, tante medicine, per un male, un male ancora, e un altro e un altro ancora, mali gravi, gravissimi, terribili.
E ho ripensato a Giobbe e al suo Libro...
Certo, un altro Giobbe, Giobbe Covatta, l’aveva buttata sul ridere, con la storia del figlio prediletto colpito da tutte le possibili avversità, ma, quando tanta sofferenza si abbatte su una persona a te cara, carissima, non si ha voglia di ridere, proprio no.
La storia di Giobbe è a tutti nota ma ho voluto rileggerla in una traduzione recente.
Mal comune non fa mezzo gaudio... ma ci si rende conto che non c’è nulla di nuovo sotto il sole, per dirla con le parole di Qoèlet, libro che trovo bellissimo.
Giobbe, il giusto, viene messo alla prova e colpito dapprima nei suoi beni materiali, poi nei suoi affetti e infine nel fisico, supplizio dopo supplizio, logorio dopo logorio. Viene lasciato in vita però. Lui e sua moglie, e proprio la moglie gli chiede di rinnegare Dio, il Dio che così duramente lo tormentava, ma Giobbe le risponde: “Forse che dobbiamo accettare solo il bene da Dio e non accettarne anche il male?”.
Tanti pensatori, scrittori, filosofi, ermeneuti, esperti a vario titolo, religiosi e laici si sono interrogati sul Libro di Giobbe e l’hanno studiato e commentato, ma ci si può avvicinare al testo anche senza sovrastrutture estranee, da lettore sprovvisto di particolari conoscenze a vario livello e, ciononostante, comprendere Giobbe, i suoi interrogativi, i suoi affanni, soffrire per lui, soffrire con lui e, senza timore di blasfemia, affermare: “Sei diventato crudele con me / con la Tua mano possente mi avversi!... Perché speravo nel bene e fui raggiunto dal male, / attendevo la luce – e fu buio. / Ribollono senza tregua i miei visceri, / mi affrontano giorni di miseria. / Me ne vado cupo, privato del sole, / pubblicamente mi levo e alzo il mio grido dolente; / son diventato un fratello degli sciacalli, / compagno delle civette. / La pelle che ho addosso è annerita, / le mie ossa son denudate dall’avvizzimento. / La mia arpa si è votata al lutto, /la mia cetra al suono del pianto.” ...
Certo chi soffre si trova a comprendere e condividere ma riesce a trovare conforto?
"Cosa ho fatto io?!" si interroga e, sopraffatto, non si capacita, anche senza conoscere Giobbe e la Bibbia.
Sì, il cielo dispensa bene e male. Se è vero che non cade foglia che Dio non voglia, che Dio tutto vede e tutto dispone, allora anche il male sulle sue creature viene da Lui. Chi non crede parla di destino, cattiva sorte, per forza, ma chi crede o si trova nel dubbio non può non chiedersi se Dio sia un dio crudele.
Anche Giobbe si interrogava. Tutto il male che gli era piovuto addosso, gli era piovuto addosso col consenso del Creatore. Non è crudele Dio quindi?
Chi crede si abbandona alla Fede e accetta il bene e il male che viene dal Cielo.
Io non trovo risposte, so solo che non c’è giustizia retributiva in questa vita e che tanto male, tanta sofferenza, tanto dolore che colpiscono i “giusti” non hanno spiegazione e giustificazione accettabile.
Pavia, 14 settembre 2019
L’anello
C’era una volta un potente sultano che portava al dito un preziosissimo anello di cui andava molto fiero.
Un giorno si presentò a corte un suo carissimo amico, così diceva, che doveva partire per un lungo viaggio.
E questo amico disse al sovrano: “Carissimo, come sai, devo partire per un viaggio che mi terrà lontano da te per molto tempo e perciò ti chiedo di farmi dono del tuo prezioso anello cosicché io, ogni volta che lo guarderò al mio dito, mi ricorderò di te”.
Al che il sultano rispose: “Mio caro amico, so che devi partire e andare lontano ma non ti farò dono del mio anello così ogni volta che guarderai il tuo dito e non lo vedrai, penserai a me che non te l’ho dato!”.
Ogni volta che la vita nega qualcosa, ogni volta che qualcosa non accade, penso al dito senza anello.
Una mancanza: un regalo, una lettera, un amore, una chance, un amico, una parola, un gesto, un traguardo.
Il non accaduto, il non verificato pesa nelle nostre esistenze così come l’accaduto, il verificato.
È parte di noi, della nostra storia, della nostra esistenza.
Ed è del tutto personale, intimo e perciò prezioso e caro talvolta.
Talvolta, perché spesso ciò che non accade, ciò che ci viene negato resta con noi, è in noi, con un tocco di rimpianto e di rammarico perfino.
Sì, perché il non accaduto che però sarebbe potuto accadere, ciò che non è stato ma sarebbe potuto essere, lascia un po’ di amaro in bocca.
Tra le mille possibilità di vita, una sola si lascia vivere.
Ed è innegabile che un “se solo” si insinua nella mente a cui fa da contraltare un “doveva andare così e non poteva andare altrimenti”.
E così dei mille mondi uno solo si rivela effettivamente possibile, uno solo che da “in potenza” diventa “in atto”.
E così si configura la vita di ciascuno di noi: ciò che è convive con ciò che non è, il positivo con il negativo, il pieno con il vuoto.
Come la ruota della bicicletta, che gira e funziona perché i raggi si alternano con l’aria.
Non tutti se ne avvedono, non tutti ci pensano ma così va avanti ciascuno di noi.
Il racconto del sultano e dell’anello, letto in un libro delle scuole elementari, mi torna sovente in mente in varie circostanze.
E non solo nel caso in cui la vita, gli altri negano qualcosa a noi, ma anche quando siamo noi a negare qualcosa: un gesto, un pensiero, un regalo, un amore, una possibilità.
E ciò non sempre è negativo, talvolta è una necessità, spesso una scelta di vita, sempre un’espressione di libertà e della volontà di autodeterminazione, un dare forma alla nostra esistenza, al nostro io.
Forse non a tutti torneremo in mente con un sorriso, ma torneremo in mente comunque... come un anello mancante a un dito!
Pavia, 9 febbraio 2019
C’era una volta un potente sultano che portava al dito un preziosissimo anello di cui andava molto fiero.
Un giorno si presentò a corte un suo carissimo amico, così diceva, che doveva partire per un lungo viaggio.
E questo amico disse al sovrano: “Carissimo, come sai, devo partire per un viaggio che mi terrà lontano da te per molto tempo e perciò ti chiedo di farmi dono del tuo prezioso anello cosicché io, ogni volta che lo guarderò al mio dito, mi ricorderò di te”.
Al che il sultano rispose: “Mio caro amico, so che devi partire e andare lontano ma non ti farò dono del mio anello così ogni volta che guarderai il tuo dito e non lo vedrai, penserai a me che non te l’ho dato!”.
Ogni volta che la vita nega qualcosa, ogni volta che qualcosa non accade, penso al dito senza anello.
Una mancanza: un regalo, una lettera, un amore, una chance, un amico, una parola, un gesto, un traguardo.
Il non accaduto, il non verificato pesa nelle nostre esistenze così come l’accaduto, il verificato.
È parte di noi, della nostra storia, della nostra esistenza.
Ed è del tutto personale, intimo e perciò prezioso e caro talvolta.
Talvolta, perché spesso ciò che non accade, ciò che ci viene negato resta con noi, è in noi, con un tocco di rimpianto e di rammarico perfino.
Sì, perché il non accaduto che però sarebbe potuto accadere, ciò che non è stato ma sarebbe potuto essere, lascia un po’ di amaro in bocca.
Tra le mille possibilità di vita, una sola si lascia vivere.
Ed è innegabile che un “se solo” si insinua nella mente a cui fa da contraltare un “doveva andare così e non poteva andare altrimenti”.
E così dei mille mondi uno solo si rivela effettivamente possibile, uno solo che da “in potenza” diventa “in atto”.
E così si configura la vita di ciascuno di noi: ciò che è convive con ciò che non è, il positivo con il negativo, il pieno con il vuoto.
Come la ruota della bicicletta, che gira e funziona perché i raggi si alternano con l’aria.
Non tutti se ne avvedono, non tutti ci pensano ma così va avanti ciascuno di noi.
Il racconto del sultano e dell’anello, letto in un libro delle scuole elementari, mi torna sovente in mente in varie circostanze.
E non solo nel caso in cui la vita, gli altri negano qualcosa a noi, ma anche quando siamo noi a negare qualcosa: un gesto, un pensiero, un regalo, un amore, una possibilità.
E ciò non sempre è negativo, talvolta è una necessità, spesso una scelta di vita, sempre un’espressione di libertà e della volontà di autodeterminazione, un dare forma alla nostra esistenza, al nostro io.
Forse non a tutti torneremo in mente con un sorriso, ma torneremo in mente comunque... come un anello mancante a un dito!
Pavia, 9 febbraio 2019