2020 - Articoli - Il mio punto di vista
Le anatre non lo sanno
Le anatre che solcano la Vernavolina che vedo dal mio balcone non sanno niente di quello che va accadendo e continuano a solcare l’acqua pacifiche.
Non sanno che chi prima era indicato come untore (leggi, “i Cinesi”) ora incoraggia i detrattori (leggi, “gli Italiani”) e non sanno che chi irrideva il nostro Paese (leggi, taluni Francesi) ora è a sua volta preda di ciò che aveva causato il loro scherno.
Non sanno niente di Paziente Uno e non sanno niente di Paziente Zero. Non sanno niente di Zone Rosse e non sanno niente di Zone Gialle. Non sanno niente di amuchina e non sanno niente di alcool, niente di mascherine e niente di abbracci proibiti. Non sanno niente di distanze di sicurezza e niente di droplet. Non sanno niente di bollettini quotidiani e niente di video messaggi su Facebook. Non sanno niente di turni di lavoro e niente di lavoro a distanza. Non sanno niente di scuole chiuse e niente di cerimonie di laurea per telefono. Non sanno niente di lezioni virtuali e niente di compiti di religione a casa: “Pregate! Pregate! Pregate!”. Non sanno niente di Messe senza segno della pace e niente di Messe senza fedeli del tutto.
Non sanno niente di partenze inizialmente rimandate e poi annullate. Non sanno niente della paura di contagiare soggetti indeboliti, come un padre malato, e non sanno niente del menefreghismo e dell’incoscienza di chi non ha saputo rinunciare a un viaggio infettando una sorella e portando il male oltre il mare, in un piccolo paese di un’isola di solito apprezzata solo d’estate e poi diventata meta ambita di chi voleva lasciare le zone del contagio.
Non sanno niente di misure appropriate e misure più o meno approssimate. Non sanno niente di supermercati presi d’assalto manco si fosse in guerra e non sanno niente di mezzi di trasporto pubblici inizialmente strapieni dove era impossibile osservare la distanza di sicurezza e ora desolatamente vuoti da far paura. Non sanno niente di voli soppressi, nazionali e internazionali, e non sanno niente di collegamenti interrotti. Non sanno niente di martellamenti in TV e via internet. Non sanno niente di fake news e niente di panico indotto. Non sanno niente di ospedali in crisi e non sanno niente di personale medico e paramedico stremato. Non sanno niente di “Milano-non-si-ferma” e non sanno niente di “Se ti vuoi bene, resta a casa”. Non sanno niente di chi si preoccupa della salute propria e degli altri e non sanno niente di chi si preoccupa solo dei danni economici. Non sanno niente delle lacrime che ti vengono agli occhi vedendo un uomo di Chiesa, che prega, solo, in cima al Duomo e del sorriso che ti sale inevitabilmente alle labbra nel vedere l’immagine di un prete di paese che gira in camioncino col megafono e la statua della Madonna e, fermato dalle autorità, si giustifica con un serafico “Esigenze lavorative!”.
Loro non sanno niente di tutto questo. Come non lo sanno gli alberi che pure sono in fiore anche a Milano. Come non lo sanno le nuvole, gli uccelli, il sole, l’aria. Certo no, loro non lo sanno…
Ma noi sì! Noi lo sappiamo! Noi sappiamo tutto questo, inizialmente quasi menefreghisti per il morbo lontano, poi vagamente perplessi magari in un treno strapieno della metro a Milano, quindi improvvisamente impauriti dopo un fine settimana in cui tutto è cambiato, poi quasi baldanzosi forse per darci coraggio, poi preda del panico e dell’angoscia e ora accomunati tutti in Italia, e non solo in Italia, dal timore e, allo stesso tempo, dalla speranza di uscirne presto!
Mi arrivano i messaggi preoccupati della mia cara amica Chieko in Giappone e le foto dei disegni che le mie nipotine e il mio nipotino hanno appeso ai cancelli di casa nel mio paese in Sardegna, “Andrà tutto bene”.
Sento le mie sorelle in Spagna e in Portogallo, dove ora si prendono misure contro il propagarsi del morbo.
Certo tutti ci auguriamo di uscirne indenni e che il virus passi lontano da noi e dai nostri cari.
Ma c’è chi non riesce a non pensare ai vantaggi che può trarre in una situazione di crisi. C’è chi non pensa se non alle perdite economiche, come se non fosse già ampiamente provato che “se manca la salute, manca tutto” e che, se i soldi servono a darci un’esistenza dignitosa, certo “non danno la felicità”; magari danno la possibilità di essere curati meglio… quando le cure ci sono. Ora una cura non c’è, non c’è per nessuno, e il morbo non fa distinzione tra chi ha soldi e chi non ha soldi.
I nostri governanti o i nostri datori di lavoro, loro sì, portano a fare distinzioni tra chi è più a rischio di contagio e chi meno, tra chi può stare a casa – perché deve – e chi non può – perché deve -.
Tutti dobbiamo stare a casa ma c’è chi deve andare a lavorare perché il Paese non si può fermare, quindi è un dovere stare a casa e, allo stesso tempo, è pure un dovere andare a lavorare per chi non viene espressamente esonerato e giustificato dalle norme dello Stato. E allora, forse non ha tutti i torti chi parla di misure approssimate e di cittadini di serie A e cittadini di serie B…
A questo, si può ancora rimediare. Perché (e lo dico non sapendo niente di conti dello Stato e borse in calo, di deficit e spread), alla fine ciò che conta è assicurare a tutti il bene della Vita e della Salute in primo luogo e poi, certo, anche quanto economicamente necessario per vivere dignitosamente, come assicura la nostra Costituzione, ma non certo il profitto e i guadagni esorbitanti di chi tanto ha e tanto continua ad avere.
E allora? Allora fermiamoci a pensare… Non sarà una “punizione divina” però certamente sembra che la Natura si sia rivoltata contro l’Uomo e contro i suoi errori nello stile di vita e nelle sue abitudini più o meno radicate.
Cerchiamo di farci coraggio ma anche di imparare.
Scrivevo, quasi vent’anni fa, da poco tempo a Milano:
A CHE PRO?
Prodotto deterministico
dell’incontro
niente affatto casuale
di particelle subatomiche
o
frutto di scelte libere
nel mondo
dell’imprevedibile
continuiamo
- siamo quello che siamo -
a barcamenarci
nella nostra quotidianità
senza fermarci
a riflettere
su quello che siamo
che potremmo
o
non potremmo
essere
A che pro
del resto
se quello
che ci si aspetta
da noi
è
che continuiamo
a barcamenarci
nella nostra
quotidianità?
Ecco, ora quello che ci si aspetta da noi, non è più “che continuiamo a barcamenarci nella nostra quotidianità”. Ora la nostra quotidianità, per molti o per pochi, è cambiata, ci sono nuove regole di vita e, non è esagerato dirlo, in certi casi, nuove regole di sopravvivenza.
Cerchiamo quindi di seguirle fiduciosi e di cogliere l’occasione per ripensare al prima, al passato, e per pensare al dopo, al futuro.
Concludo con la citazione che Ernest Hemingway scelse come premessa per il suo celeberrimo “Per chi suona la campana”, nella versione che io avevo letto nel lontano ottobre del 1989:
“Nessun uomo è un'Isola, intero in se stesso.
Ogni uomo è un pezzo del continente, una parte della Terra. Se una sola Zolla viene portata via dall'onda del Mare, l'Europa ne è diminuita, come se un Promontorio fosse stato al suo posto, o una Magione amica o la tua stessa Casa.
Ogni morte d’uomo mi diminuisce perché io partecipo dell’umanità.
E così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: Essa suona per te.”
John Donne
1573-1651.
Pavia, 13 marzo 2020
P.S.: Ora vedo dal balcone un padre che gioca a nascondino e a “Un, due, tre, stella” con le sue bambine. È un’immagine di gioia e speranza!